Testi liturgici: Dt 30,10-14; Sl 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Per il documento: clicca qui
Abbiamo sentito dire che vivere il Vangelo e comportarci da veri discepoli di Gesù, cioè fare la volontà di Dio, non è facile; richiede, infatti, un impegno tale che non è possibile a tutti mettere in pratica.
Ammesso pure di non averlo sentito dire dagli altri, potremmo, però, averlo pensato noi.
La parola di oggi, invece, ci dice il contrario, proprio con questa espressione: “Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore”.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che mettere in pratica il Vangelo è come parlare (la bocca), ed è come amare (il cuore).
Parlare e amare sono azioni che richiedono, ovviamente, l’impegno e il desiderio di farlo, ma per riuscirci non servono scuole speciali che insegnano come fare e neppure richiedono sforzi particolari per riuscirci.
Usando un’altra analogia, è come il respirare. Respirare non richiede chissà quale esercizio, è un fatto naturale.
E, se volete un’altra similitudine ancora, è come lo stare all’aperto e respirare aria buona: è una soddisfazione che riempie i polmoni e ci rilassa; così è nell’accogliere la buona notizia del vangelo.
È un dono di Dio talmente grande che non può non portare gioia in chi l’accoglie.
A tal proposito è molto interessante la seconda lettura, anche se, teologicamente, è molto alta.
Il brano risponde alle eventuali nostre domande: “Chi è Dio? Dove si trova? Come si può vedere il suo volto?”.
Queste domande, dice Paolo, trovano la loro risposta nella persona di Gesù. È lui l’immagine visibile del Dio invisibile.
Questo significa che, se Dio è incomprensibile e nascosto, con Gesù ci è stato rivelato.
Gesù è l’immagine della compassione di Dio per le miserie umane in genere; ed è soprattutto l’immagine di Dio misericordioso verso i peccatori; di coloro che sono stati assaliti dal brigante per eccellenza, cioè dal diavolo.
È il primo aspetto della parabola evangelica.
Gesù è il buon samaritano che ha avuto compassione di noi, e ancor oggi viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.
Il secondo aspetto riguarda noi.
Tutti siamo chiamati ad essere buoni samaritani. Ed infatti così conclude la parabola: “Và e anche tu fa così”.
Non possiamo assomigliare ai primi due personaggi della parabola, il sacerdote ed il levita, che tornano a casa dopo aver compiuto il loro servizio religioso nel tempio.
Potrebbe capitare ad ognuno di noi che, essendo oggi domenica, siamo venuti in chiesa per dare il nostro culto a Dio e che poi ce ne torniamo a casa, contenti di aver compiuto il nostro dovere di cristiani.
Niente da dire, abbiamo fatto bene.
Ma la qualità ed il grado della nostra fede e del nostro amore, non si misura negli atti di culto, ma attraverso la vita, per tutta la settimana che si apre.
Infatti, se veniamo qui, è per rifocillarci e per ottenere la forza allo scopo di riuscire a vivere da cristiani negli altri giorni, in ogni situazione della vita quotidiana.
Soprattutto dobbiamo avere la compassione per gli altri, cosa che si esprime con diversi atteggiamenti.
Innanzitutto con la comprensione verso le loro miserie e limiti, per le loro mancanze di attenzione nei nostri riguardi, per tutto quello che in loro ci è di disturbo e di disagio.
La conseguenza positiva del nostro atteggiamento, la si vede dal fatto che ci asteniamo da ogni giudizio sulla responsabilità della persona, spesso condizionata da tante situazioni.
È vero che la persona può sbagliare, ma non la possiamo giudicare.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello