Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
12 ottobre 2024 * S. Lucia Filippini
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Immagine e somiglianza di Dio
Si tratta della ottava riflessione sul tema dell' essere "Artigiani di Comunione", svolta nel ritiro del 26 settembre 2021, presso il Santuario di San Giuseppe in Spicello.
Per il documento: clicca qui
Ottava riflessione per l’anno 2021 – L’apostolato familiare (terza parte)
(Testo di riferimento Gen 1,26-28)
Dal Libro della Genesi. Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e disse loro:  «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».

Introduzione
Mi introduco dicendo subito che non sono capace di svolgere il tema con parole ed espressioni di alta teologia, le quali d’altra parte non sono comprensibili neppure da buona parte di noi qui presenti.
Pertanto, mi limito solo a estrapolare qualche espressione dal testo che avete in mano, per potervi aiutare a fare qualche applicazione che tocca la vita coniugale in maniera più concreta e pratica.

Prima espressione: “Siate fecondi e moltiplicatevi”.

Facilmente potremmo pensare che l’essere fecondi e il moltiplicarsi, siano due termini sinonimi e che, più o meno, dicono la stessa cosa, quella cioè di “generare figli e di averne molti”.

E’ vero che vuol dire questo?

C’è una parte di vero, ma c’è anche da precisare. Se ci riferiamo solo al “moltiplicatevi” potrebbe essere valido, ma certamente non lo è se lo applichiamo al “siate fecondi”.

Il significato della fecondità è molto più ampio. Esso tocca sia il livello fisico sia quello intellettuale, come anche quello morale e quello spirituale. Proprio per questo, tutti siamo chiamati ad essere fecondi, in qualsiasi stato di vita ci troviamo ed anche nei diversi livelli di vita, sia in quello personale, come in quello di coppia e famiglia, come pure in quello del ministero sia sacerdotale che laicale.

Se non siamo in qualche maniera fecondi, la nostra vita non si realizza, di fatto è un fallimento tale che ci fa vivere in una continua scontentezza e tristezza.

Tutto ciò premesso, ci domandiamo: Cosa è, e in cosa consiste la fecondità?

Fatte le debite proporzioni, si tratta di avere e vivere in noi la fecondità stessa di Dio, di Lui che è l’eternamente fecondo.

Vogliamo anche sapere come possiamo tradurlo con altri termini?

Quale sia il suo primo e principale significato?

Lo possiamo dire con due semplici parole. Si tratta di “essere santi”, alla maniera di Dio.

Infatti, se l’uomo è fatto ad immagine di Dio, visto che Lui è santo, non possiamo non esserlo anche noi. È Lui stesso a dircelo con l’espressione riferita dal Levitico: “Siate santi, come io sono santo”.

Questa santità, applicata senz’altro al “siate fecondi”, potrebbe valere, e senz’altro vale, anche per il “moltiplicatevi”, cosa questa da applicarsi soprattutto sul piano spirituale.

Con questo vogliamo dire che la santità non può rimanere chiusa in se stessa, ma va allargata a bene di altri, cioè va condivisa e quindi, in qualche modo, va “moltiplicata”. Questa moltiplicazione avviene, e deve avvenire, attraverso la testimonianza della nostra vita, se e in quanto è ben vissuta secondo la volontà del Signore.

Ma non solo. Oltre alla testimonianza di vita, cosa che è valida sempre e per tutti, ad alcuni è richiesto anche un altro tipo di fecondità, quello di una diretta azione esterna che chiamiamo “apostolato”.

Il tipo di apostolato, ovviamente, è reso attivo sulla base dello stato di vita in cui ci troviamo, ed alle possibilità e capacità di ognuno. Ogni vero apostolato, comunque, è sempre fatto per far conoscere ad altri l’amore di Dio per noi.

A questo punto potremmo fare altre due domande.

In cosa consiste precisamente e concretamente la santità di Dio?

Chi sono quelle persone che possiamo riconoscere e definire santi?

Il termine “santo” significa essere “tutt’altro”; significa “essere separato” da qualunque contaminazione, “essere al di sopra di tutto e di tutti” e quindi, riferito a noi, l’essere separati da tutto quello che non è in sintonia con la santità di Dio.

Il Signore, per sua natura, è l’irraggiungibile, è veramente il “tutt’altro”, è il santo per eccellenza, è il “tre volte santo”, come a voler dire che un di più non può esserci.

Nessuno di noi potrà mai essere santo e perfetto come lo è Lui, per cui la nostra santità è da considerarsi piuttosto relativa.

Comunque, la nostra santità sta nel saper mantenere una stretta relazione con il Signore, nel cercare di assomigliare il più possibile a lui, mettendo in pratica quello che ha detto Gesù: “Siate perfetti come lo è il Padre vostro celeste”.

Ebbene, passando all’applicazione concreta, come si vive il “siate fecondi”, cioè il “siate santi” nella vita matrimoniale e di famiglia?

L’esercizio della fecondità si esercita proprio nell’aiutarsi vicendevolmente per vivere e crescere in santità, nell’essere ogni giorno sempre più vicini a Dio, cercando di imitarlo nella pienezza dell’’amore, e questo - lo ripeto - nell’aiutarsi vicendevolmente.

Però, questo vicendevole aiuto riesce a produrre vera fecondità e a raggiungere il suo fine, solo se scaturisce dal dialogo tra i due coniugi, cioè da una mutua e vicendevole relazione, una relazione che, a sua volta, sia aperta, sincera e costruttiva. La stessa cosa vale nei confronti con figli e nipoti.

Dove si misura la vera relazione coniugale?

Si misura dall’insieme di tutte quelle attenzioni che fa di due persone - distinte e diverse - un cuor solo e un’anima sola, cioè li fa essere coppia, proprio a modo di terza persona, come di fatto lo deve essere in quanto chiamati ad essere immagine della SS.ma Trinità. Però, per riuscire in questo tipo di relazione – come già detto - ci vuole assolutamente il dialogo.

A sua volta, per avere il dialogo, occorre l’ascolto. Si tratta quindi di imparare a uscire da quello che è l’“io” per andare al “tu”. Si tratta di imparare a capirsi, e non solo, ma anche ad intuirsi.

Questo ovviamente non è facile. Infatti è più facile confondere l’udire con l’ascoltare. Pertanto, si tratta di stare in ascolto non solo della parola che va all’udito, ma anche dell’espressione dell’occhio, del silenzio eloquente, del tatto espressivo, del come si reagisce.

Si tratta, alla fine dei conti, di ascoltare soprattutto con il cuore quello che neppure la parola e il gesto a volte riescono a dire.

Però, per riuscire in questo, ci vuole una speciale antenna, quella di Dio. Cosa questa che si acquista solo se i coniugi sono persone di preghiera.

Infatti, se non si mantiene la relazione con Dio sia personalmente, sia a volte necessariamente anche assieme, i coniugi non possono essere pienamente fecondi.

C’è poi un l’altro aspetto della fecondità. Se si tiene la relazione con Dio, la fecondità non si esaurisce nell’ambito personale e familiare, ma si irradia pure nell’ambiente in cui ci si trova, e questo anche senza dire o fare altro, proprio alla maniera di un radiatore il quale, se in esso vi scorre acqua calda, contribuisce a riscaldare tutta la stanza, pur senza fare rumore e chiasso.

Pertanto, ancor prima di altri tipi e modi di apostolato, questo – come abbiamo già detto – è il principale apostolato familiare, è il vero apostolato che annuncia la buona novella del vangelo. È il tema titolato per oggi, e questo non è altro che partecipare in maniera viva e responsabile alla missione della Chiesa.

E’ anche in questo senso, pertanto, che gli sposi sono chiamati ad essere fecondi. Questo avviene pienamente solo se vivono bene il sacramento celebrato, come ora ci dirà la seconda espressione.

Passiamo, dunque, alla seconda espressione: “Il sacramento del matrimonio non è una cosa”.

Questa espressione ci spinge a fare una domanda sul perché si va a celebrarlo in chiesa.

Si va solo per “celebrare” il rito - dopo di che tutto finisce -  oppure per ricevere il mandato di “essere un sacramento” che non finisce, da celebrarsi nella vita di tutti i giorni?

Dobbiamo essere consapevoli che il sacramento non è una cosa, ma è una azione di Cristo il quale per poterla compiere si serve degli sposi. È attraverso di loro che egli effonde il suo amore e la sua grazia.

In realtà il rito per se se stesso, anche se celebrato in chiesa, non aiuta molto a essere “protagonisti e celebranti” in questo senso. E’ vero che gli sposi sono al centro, ma solo come oggetto e destinatari dell’azione liturgica, non come soggetto chiamato ad essere attivo; nella mentalità popolare, infatti, prevale la convinzione che sono andati a ricevere una “benedizione”. lì comincia e lì finisce.

Ma sin qui niente di nuovo perché in ogni religione si fa questo.

Dov’è sta “l’originalità cristiana”?

Consiste nel vivere quello che insegna Paolo, è rendersi consapevole ed il mettere in pratica quello da lui suggerito, quello di essere il “mistero grande”. È stato l’argomento di altre riflessioni.

Quella di oggi, quello che stiamo dicendo, serve per aiutarci in questo. 

Estrapoliamo una terza espressione: “La grazia del matrimonio è donata agli sposi per costruire ponti tra Cristo e le persone che incontriamo”.

Nel giorno delle nozze che si celebrano in chiesa, come già accennato, Cristo dà agli sposi una consegna: “Voi siete mio sacramento”.

Da quel momento, ogni loro vicendevole e quotidiana espressione di amore, da quella più semplice a quella più alta ed intima, è esercizio di sacramento, è gesto assunto da Cristo il quale non fa altro che riversarlo a vantaggio degli sposi stessi.

Quindi è attraverso questi gesti che essi si santificano. Sta proprio qui – come accennato pocanzi - la fecondità e santità del matrimonio.

È una grande ricchezza per se stessa, anche se non sempre e non tutto è visibile. Ma non solo. Nel contempo, per quanto si possa vedere da altri, è anche una bella testimonianza che porta tantissima grazia. Infatti, se lo vedono i figli, ne godono; se lo vedono gli altri, ne sono edificati. Veramente gli sposi diventano il luogo della presenza di Dio che traduce la nota espressione: “Dov’è carità e amore, ivi è Dio”.

Ad esempio, al bimbo che chiede di sapere dove sia Gesù, con buona ragione si può anche rispondere: “E’ anche qui, quando vedi che papà e mamma si vogliono bene”.

Come è diverso dal semplice ricevere un sacramento, o un passivo assistere alla funzione, o vederci solo una promessa/consenso per essere anagraficamente considerati sposi!

Per molti, infatti e come già detto, tutto finisce nella funzione svolta in chiesa, invece sta proprio lì l’inizio.

Come quarta estrapolazione dovrei riportare le parole di don Lamera. Queste non sono difficili, non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni.


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"... io piego le ginocchia
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dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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