Testi liturgici: Am 7,12-15; Sl 84; Ef 1,3.14; Mc 6,7-13Per il documento: clicca qui
Amasia prescrive ad Amos di andarsene.
Lo abbiamo appena ascoltato: “Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare”.
Per quale motivo non è accolto?
Lo abbiamo pure ascoltato: “A Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”.
Nella risposta è chiaro che esiste uno scontro fra spazi, funzioni e ruoli diversi. Ci sono ruoli affidati da uomini e ci sono missioni affidate da Dio.
In che senso?
Amasia è sacerdote del popolo ed è custode ufficiale del santuario; non solo, è anche custode del regno; pertanto, è anche garante del potere del re.
Invece, Amos non appartiene né a quel regno né allo spazio di quel santuario, ma è in obbedienza a Dio.
Il ministero della Parola di Dio, infatti, non è un mestiere ma è una missione. Non ha, quindi, spazi delimitati, proprio perché non è un incarico ricevuto da uomini.
Amos parla a nome di Dio. Gli è stato richiesto e lo deve fare sempre e dovunque. Ecco, la sua risposta: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Mi disse: Và, profetizza al mio popolo Israele”.
Il fatto cosa dice a noi, oggi?
Quando si tratta di dare testimonianza della nostra fede; quando si tratta di parlare di Dio e a nome di Dio; quando si tratta di fare apostolato o svolgere servizi religiosi; non conta se uno ha un titolo adatto, o una discendenza nobile, o un incarico ufficiale. La forza della parola del Signore non sta nella nobiltà di coloro che la trasmettono, e neppure nelle loro capacità umane, ma sta nella capacità di viverla, innanzitutto, nella propria vita; e poi di proclamarla, senza aggiunte e interpretazioni personali e senza accomodamenti di sorta.
Ovviamente, perché questo avvenga, da parte di colui che annuncia, sono richiesti alcuni atteggiamenti, comportamenti e qualità. La cosa è illustrata dal vangelo, dove Gesù affida la missione ai dodici.
Innanzitutto, li manda “due a due”. Nessuna testimonianza, infatti, ha valore se sembra essere il pensiero di uno solo, tanto più se ci si trova in disaccordo con l’altro. Quel “due a due” sta a significare che è necessario vivere in armonia e carità fra di noi. Se non ci si ama, ogni testimonianza perde l’efficacia.
Poi, li manda dando loro il potere sul male che c’è nel mondo; in altre parole, il potere sugli spiriti impuri.
Quanti spiriti impuri oggi sono presenti e avvelenano la nostra società!
Essi hanno tanti nomi: egoismo, indifferenza, sfruttamento, superficialità, cultura edonista; in una parola una cultura del tutto contraria al pensiero di Dio. Basti pensare, ad esempio, a tutte le leggi inique già introdotte e che si vogliono tuttora introdurre, soprattutto contro la vita e contro la famiglia.
Quando in mezzo a questa società c’è un cristiano che coerentemente manifesta il suo pensiero e che vive seriamente la propria vita, tali spiriti impuri vengono snidati e scacciati.
Ma, a quale condizione?
Quella suggerita da Gesù: “Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro”.
Questo per dire che la vera attrezzatura è quella di fidarsi di Dio; è lui l’unica forza che ha potere contro il male. Si va a nome di Dio, non a nome proprio. Si va con la forza di Dio, non contando sulle proprie capacità.
È chiaro che non tutti accoglieranno la parola, il messaggio e la testimonianza. Non c’è da meravigliarsi, è da metterlo in conto.
Il rifiuto della parola degli apostoli e dei testimoni, non è altro che l’allontanamento da Dio e il rifiuto di Dio.
Questo è ben significato dallo scuotimento della polvere sotto i piedi: “Se non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”.
La cosa, pertanto, non tocca l’apostolo, ma segna la condanna di colui che è interpellato.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello