Omelia delle domeniche e feste Anno B
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
9 dicembre 2025 * S. Siro vescovo
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14 Gesu nella sinagogaTesti liturgici: Ez 2,2-5; Sl 122; 2Cor 12,7.10; Mc 6,1-6
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Gesù, come era abituato ogni sabato, frequenta e si mette a insegnare anche nella sinagoga di Nazaret; i presenti si stupiscono per quello che dice.
Di conseguenza, gli pongono tre domande.
La prima, sulla provenienza delle sue parole: “Da dove gli vengono queste cose?”.
Un’altra, sulla natura della sua sapienza e dei suoi prodigi: “Che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi compiuti dalle sue mani?”.
La terza, sulle sue origini: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria?”.
Sono domande poste non tanto per comprendere meglio, quanto motivate da pregiudizi. Tanto è vero che l’evangelista precisa: “Era per loro motivo di scandalo”.
In altre parole, essi sono convinti che non parla a nome di Dio, che non è maestro di sapienza e che non è un personaggio straordinario.
Questo dimostra che nel loro cuore c’è una chiusura totale, cosa che fa pronunciare a Gesù la famosa espressione: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.
La conseguenza è così descritta dall’evangelista: “Non poteva compiere nessun prodigio. Si meravigliava della loro incredulità”.
Che forse episodi analoghi non si ripetono anche ai nostri giorni?
Non c’è forse incredulità anche da parte nostra?
Potremmo annoverarci tra quelli di cui alla prima lettura: “Ti mando ad una razza di ribelli. Son figli testardi e dal cuore indurito”.
Quante volte anche noi abbiamo il cuore indurito, cioè non pienamente aperto ad accogliere la verità!
Noi spesso confondiamo la fede con certi tipi di religiosità.
Infatti, è più facile andare alla ricerca di fatti straordinari e sensazionali; è più facile dare risalto a persone che posseggono “carismi” particolari; è più facile preferire modi e forme di preghiera che escono da una normalità, ma che di fatto non sono costruttivi più di tanto.
In altre parole, non basta essere vicini a Gesù praticando quello che ho appena descritto, se poi, nel vivere quotidiano, non scegliamo di dare una risposta di autentica fede, in tutti gli aspetti della vita.
Uno di questi aspetti è proprio quello richiamato nella seconda lettura.
Si tratta della famosa “spina”, che san Paolo deve sopportare.
Non sappiamo di preciso cosa sia. Certamente è una prova, una debolezza come tutti nella vita le abbiamo.
Paolo parla della sua esperienza di apostolato esercitato presso la sua comunità, che oltre a vederlo nella sua grandezza, lo ha visto anche nella sua debolezza.
Le opposizioni, che lo facevano tanto soffrire, forse si giustificavano con qualche aspetto della sua vita o del suo carattere o della sua salute, che lo rendevano attaccabile.
Vorrebbe esserne liberato e prega con insistenza per questo.
Il Signore non lo libera dalla spina, ma non lo abbandona a se stesso: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”.
Paolo, conseguentemente, interpreta il limite come un fatto provvidenziale, è una grazia che gli impedisce di insuperbirsi.
Quale lezione anche per noi!
Le persone di Dio, i veri santi non sono coloro che non hanno problemi, e non sono neppure coloro che, per doni straordinari ricevuti, sono strumenti di guarigioni e miracoli.
Sono, invece, coloro che attraverso un profondo cammino di umiltà e di amore, riconoscono il proprio niente ed i propri limiti, ma che affidano tutto a Dio.
Il Signore, infatti, non ha bisogno di persone perfette. Ha piuttosto bisogno di persone disposte a non lasciarsi spaventare dai loro limiti e che confidano pienamente nella sua grazia.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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