Omelia delle domeniche e feste Anno B
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
9 dicembre 2025 * S. Siro vescovo
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Pasqua di RisurrezioneTesti liturgici: At 10,34.37-43; Sl 117; Col 3,1-4; Mc 16,1-7
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Oggi, in tutta la Chiesa e a vantaggio di tutto il mondo, è proclamato un solenne annuncio: “Il Signore Gesù è risorto, è veramente risorto”.
Il Vangelo, attraverso il giovane – un angelo – seduto sulla destra del sepolcro aperto, dice alle donne: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazzareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.
La risurrezione è un grande dono, in essa è la nostra salvezza.
Per questo, nel salmo responsoriale abbiamo ripetuto: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo”.
Abbiamo anche udito la testimonianza di Pietro: “Uccisero Gesù appendendolo alla croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno”.
A questo punto, viene spontaneo domandarci: dove ha potuto Pietro trovare tanto coraggio per dire questo, considerato che solo qualche tempo prima, lo aveva rinnegato?
Tanto più che successivamente, per paura di rappresaglie da parte dei Giudei, assieme agli altri apostoli, si era rinchiuso dentro casa!
È evidente che qualcosa di straordinario era accaduto a lui.
L’evento della risurrezione di Gesù, unitamente alla successiva discesa dello Spirito Santo, ha fatto di lui un uomo nuovo.
Ora è in grado di annunciare, senza alcuna paura la verità, costi quel che costi.
A questo punto ci domandiamo ancora: Assomigliamo a Pietro oppure no?
Certamente sì, per prima fase: la paura, il doversi compromettere, il perderci la faccia! Ma dobbiamo superare tutto ciò.
È possibile, pertanto, arrivare anche nella seconda fase?
Tutto sta a vedere che tipi di cristiani siamo.
Essere cristiani non sta solo nell’osservare modelli di comportamento, quali: nel dire preghiere, nell’essere persone oneste, nel non far male a nessuno; ma significa, innanzitutto, essere testimoni della risurrezione di Gesù e della sua misericordia.
È quello che l’angelo ha detto subito dopo: “Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”.
Dobbiamo dire che egli è risorto, non tanto con le parole, ma con la vita.
In che modo?
Dobbiamo essere fermamente convinti che, se è risorto, è tuttora vivo ed è sempre in mezzo a noi; che, se lo vogliamo, è operante e ci aiuta in ogni situazione; che non punta mai il dito contro il peccatore, ma, essendo pieno di misericordia, lo attende con infinita pazienza.
Non è bello e consolante tutto questo, e non ci riempie di gioia?
Si tratta di dimostrarlo e testimoniarlo con la vita.
In che modo?
Se il cristiano non è gioioso, è segno che non è vero cristiano perché dimostra di non credere nella risurrezione.
Se il cristiano coltiva dubbi sulla propria salvezza e teme di non essere perdonato, è segno che non crede nella risurrezione.
Se il cristiano pensa solo alle cose di questo mondo e non cerca – come ci ha detto Paolo – le cose di lassù, è segno che non crede concretamente nella risurrezione.
Credere alla risurrezione, pertanto, non è solo un atto della mente, non è solo una conferma pronunciata con la bocca quando diciamo il credo, ma è uno stile quotidiano di vita.
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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