Testi liturgici: Gb 7,1-4.6-7; Sl 146; I Cor 9,16-19.22-23; Mc 1, 29-39Per il documento: clicca qui
Chi di noi, chi prima e chi poi, chi più e chi meno, non è messo alla prova, alla maniera di Giobbe?
Il brano esprime con chiarezza l’esperienza di chi è provato dal dolore, soprattutto quando esso dura nel tempo e sembra non abbia via di uscita!
Il dolore può riguardare direttamente noi o persone a noi care; può essere a livello fisico o a livello morale; queste, soprattutto, per incomprensioni, per disaccordi che si trasformano in odio; per vituperi e calunnie di ogni genere.
Quando uno è oppresso dalla sofferenza, sembra che le ore non passino mai, soprattutto quelle della notte; sembra che ogni istante della vita sia destinato a ricordarci che l’unica soluzione sarebbe la morte.
Proprio in tale senso sono da intendere le parole di Giobbe: “La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba”.
Eloquenti anche quelle successive: “I miei giorni scorrono più veloci di una spola… Ricordati che è un soffio la mia vita…”.
Questo non vuol dire che abbiamo una concezione pessimista, anzi, è il segno di un grande realismo e che, a sua volta, permette di dare il giusto valore a ogni istante della vita.
Se poi entriamo nell’ottica della fede, hanno pure un valore pedagogico importante per la nostra crescita spirituale: ci maturano.
Quali sono le riflessioni di Giobbe?
Si riconosce di essere un semplice mortale che vede la fine dei suoi giorni.
Questo, vale anche per ognuno di noi.
È segno di grande saggezza, pertanto, quello di sapere che la nostra vita, anche quando la sofferenza non bussa direttamente in maniera eclatante, è sempre come l’erba che è “falciata al mattino ed è secca la sera”; dura come il “soffio che passa e non torna più”; quando meno ce lo aspettiamo ci troviamo alle soglie dell’eternità.
La migliore soluzione, quando siamo nel dolore, è affidare con fiducia il nostro spirito provato al Signore, che saprà come consolarci e sostenerci.
Invece e purtroppo, noi qualche volta ce la prendiamo con il Signore!
Invece, dovremmo richiamare alla mente che il Signore non ha creato direttamente il dolore; purtroppo, ci portiamo le conseguenze per non aver obbedito a Lui.
Il Signore vuole solo il nostro bene, la nostra salute e la nostra felicità.
Il fatto evangelico di oggi, che narra una guarigione, vuol dimostrare proprio questo: “La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva”.
Vogliamo riflettere su due espressioni.
Prima: “Prendendola per mano”. Non dobbiamo dimenticare che solo il Signore guarisce, sia pure servendosi di qualcuno. Solo lui ci prende per mano, ci solleva, ci sostiene, ci consola. Qualcuno, qualche volta, usa l’espressione: “vado nel tal posto per partecipare ad una Messa di guarigione”. È una espressione sbagliata perché, di fatto, tutte le Messe sono di guarigione, purché partecipate con fede.
Seconda: “La febbre la lasciò ed ella li serviva”. Qualcuno dice: “Quando c’è la salute, c’è tutto”. L’espressione è parzialmente vera, purché non si fermi lì, non sarebbe completa. Sarebbe come dire: “Ho la salute, me la godo e tutto faccio a mio vantaggio”.
Non dobbiamo dimenticare, invece, che la salute non è un bene esclusivamente nostro, tale da non permetterci di usarla a vantaggio altrui.
Infatti, la vita è ben vissuta veramente, se è messa a servizio di amore a vantaggio di altri.
La suocera di Pietro, appena guarita, subito si rimette a servio.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello