Testi liturgici: Is 52,7-10; Sl 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18Per il documento: clicca qui
Lo abbiamo ascoltato: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il Natale è tutto qui!
Non c’è modo migliore per esprimere la verità del mistero del Dio fatto uomo. Pertanto, celebrare il Natale, non è altro che celebrare il mistero di Dio vicino a noi, anzi, in mezzo a noi.
In genere, in una cultura molto diffusa, si pensa a un Dio indaffarato per i suoi problemi; non ha tempo di pensare a noi; e noi, da parte nostra, lo consideriamo piuttosto lontano e inaccessibile, talvolta addirittura estraneo ai problemi che ci assillano.
Invece, dal giorno della sua nascita a Betlemme, scopriamo un Dio che, in Gesù, si è fatto in tutto simile a noi, fuorché nel peccato, per stare sempre con noi e in mezzo a noi.
Questa vicinanza, l’ha dimostrata durante i tre anni della sua vita pubblica, soprattutto verso i più piccoli e i più poveri, che hanno avuto un posto privilegiato.
Però questa verità della presenza di Cristo non si è esaurita ai tempi di allora, ma è quanto mai presente, anche oggi.
Tuttavia, non si realizza se non è pienamente accolto nella nostra vita, come abbiamo ascoltato: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.
Con la conseguenza che, se siamo figli, diventiamo anche eredi di tutti i beni posseduti dal padre: è quello che chiamiamo “paradiso”.
Dove sta il dramma dell’uomo, se c’è un dramma?
Sta nel non accoglierlo, come pure abbiamo ascoltato: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto”.
Questo è davvero tremendo, soprattutto quando si pensa che Dio non vuole nulla per sé, non ha bisogno di noi: vuole, viceversa, solo la nostra felicità.
A questo punto, facciamo un’altra considerazione su una espressione della lettera agli Ebrei.
L’abbiamo ascoltata nella seconda lettura: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”.
Da notare che il parlare non sta solo nelle parole, ma nei fatti: sta nel mistero dell’Incarnazione.
I profeti avevano parlato a nome di Dio; però si sono limitati alle sole parole, che spesso, purtroppo, non erano neppure ascoltate.
Invece, attraverso Gesù, Dio ha fatto conoscere il suo infinito amore per noi non solo a parole, ma lo ha accompagnato con i fatti. Attraverso il suo Verbo fatto uomo, ha sposato l’umanità: con tali nozze la divinità e l’umanità sono divenute una sola persona, una sola carne. Si è veramente donato tutto a noi!
Cosa poteva fare di più il Signore?
E non si è fermato neppure qui. È giunto sino a dare la propria vita attraverso una morte infame.
Comprendiamo, allora, come il Natale sia la festa dell’amore. Tutti si sentono più buoni e si fanno più solidali.
Tutti si scambiano gli auguri.
Noi, da questa liturgia, li formuliamo augurandoci che non siano solo di parole, ma che seguano i fatti, quelli di una vita migliore e più buona verso tutti.
(Eventualmente per la Messa della notte)
Tutti celebrano il Natale, ma non tutti quello cristiano.
Noi stiamo celebrando il Natale cristiano.
Celebrando un “natale”, facciamo una cosa abbastanza ordinaria della vita umana: la nascita di un bimbo; ma celebrando il “Natale” cristiano compiamo un fatto del tutto straordinario: colui che nasce non è solo un uomo, ma è Dio fattosi uomo.
Anche questa nascita è avvenuta, come è norma, in una famiglia: con una madre, Maria che ha gestito e partorito; con un padre, Giuseppe che si è fatto garante per la sicurezza e la serenità di una casa.
Anche se Figlio di Dio, Gesù ha avuto bisogno di una famiglia che l’ha cresciuto, l’ha educato e l’ha corretto quando è stato il caso; l’ha nutrito e gli ha insegnato a capire chi fosse e a quale compito fosse chiamato.
Infatti, egli non è nato sapendo già tutto e disponendo delle sue capacità immediatamente e in modo completo. Ha avuto bisogno di crescere, appunto, in una famiglia che lo amasse e lo aiutasse a maturare, sia nella coscienza di chi fosse, sia nella forza necessaria per poter compiere la volontà del Padre celeste.
Purtroppo, viviamo tempi molto difficili in cui la famiglia è decisamente in crisi, sia a livello istituzionale, sia a livello di relazioni che in essa si devono radicare e strutturare.
Ma non siamo qui per sviluppare quest’ultima situazione.
Ci fermiamo invece a considerare la famiglia di Nazaret, dalla quale è nato ed è vissuto Colui che ha portato salvezza a tutte le famiglia e al mondo intero.
Tutto questo ci deve far esultare di gioia, proprio come ci ha descritto la prima lettura: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce… Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia… Perché un bambino è nato per noi… il suo nome sarà Dio potente… principe della pace”.
Ci fermiamo su due espressioni ascoltate.
La prima espressione, quella appena risentita: “Ha visto una grande luce!”.
La luce! Segno di gioia e portatrice di gioia!
Con questa ottica dobbiamo guardare le maggiori luci che, in questo periodo, brillano davanti alle abitazioni e lungo le strade.
È vero che l’origine storica del fatto è da ricercarsi per il buio della notte che si è allungato, ed è necessario pertanto avere più luce.
Ma noi cristiani lo leggiamo anche con un significato simbolico. Siamo pieni di gioia perché è nato Colui che ci porta la luce vera.
La seconda, quella dell’angelo ai pastori, che pure parla di gioia: “Non temete, vi annuncio una grande gioia… oggi è nato per voi un salvatore!”.
Gli auguri che ci si scambiano, dovrebbero fare eco a tale gioia!
Una gioia, però, che non si ferma solo all’oggi, ma che, nonostante tutto, si prolunga nella vita, perché quel Salvatore che è nato, è tuttora presente in mezzo a noi: ci sostiene e ci aiuta in ogni situazione della vita, sia pure drammatica e dolorosa.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello