Testi liturgici: Dn 7,13-14; Sl 92; Ap 1,5-8; Mc 11,9-10
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Con l’attributo di “Re” dato a Cristo, con molta probabilità a noi viene richiamato il modo di gestire che vediamo nei nostri governanti e che, di conseguenza e con lo stesso metro, applichiamo a Cristo e alla sua Chiesa.
Invece, la regalità di Cristo va colta in una dimensione del tutto diversa, in quella pienamente evangelica. Questa ribalta le nostre prospettive e non conferma la fiducia a nessun potere terreno.
Dio non ha bisogno di appoggiarsi né a re, né a principi, né a governanti di questo mondo per affermare la sua sovranità. Per cui, da parte nostra, è necessario purificare l’idea del potere, che abbiamo nella nostra mente e, di conseguenza, il modo di rapportarci con i potenti di questo mondo.
Il brano del vangelo, oggi ascoltato, ha qualcosa di veramente paradossale. Gesù manifesta pienamente la sua identità regale proprio nel momento in cui sta per essere messo a morte, alla maniera di qualsiasi malfattore.
Pilato, pertanto, non riesce a capire chi sia colui che gli sta davanti e quale grande verità gli stia rivelando.
Questa scena, però, fa capire a noi cosa significhi veramente regnare secondo Dio.
In cosa consiste l’esercizio di questa regalità? Quando Gesù asserisce: “Il mio regno non è di questo mondo”, cosa intende dire? Cosa dice a noi?
Significa che dobbiamo cercare il senso della sua regalità in altro modo.
Significa che non ci si devono aspettare consensi e riconoscimenti umani quando parliamo e testimoniamo con la vita la nostra appartenenza a Cristo e al suo Vangelo.
Per cui, proprio quando saremo perseguitati e incompresi, potremo dare il nostro contributo alla causa del Vangelo.
Significa che tutto va compiuto come servizio di amore; e l’amore, essendo Dio stesso, è rivolto a tutti ed ha una durata eterna. Per questo, il Regno di Gesù, è “Regno universale ed eterno”.
Infatti, egli fece della sua vita e della sua morte un atto di amore al Padre e all’umanità intera di ogni tempo, per questo è un re che non tramonta, proprio perché l’amore non passa mai, a differenza della gloria e del potere umano, spesso frutti di prevaricazione e d’ingiustizia, che sono destinate a finire.
D’altra parte, l’amore non fa rumore come il potere umano, ma certamente è più duraturo e da la vera felicità.
Noi, spesso, assomigliamo a Pilato. Egli si muove nell’ordine dei fatti. Gesù con lui sposta il discorso sul piano dei significati.
Pilato non può capire, perché non è “dalla verità”. Questo non perché sia un pagano, ma perché non può accettare che esista una regalità al di fuori della competizione tra i poteri, né un potere più grande di quello di Roma a cui egli è asservito.
Vogliamo anche noi seguire Cristo e, in altre parole, essere salvati nel suo regno eterno?
Si tratta di fare della nostra vita un servizio di amore non conformandoci alla mentalità del mondo.
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello