Testi liturgici: Ger 31,7-9; Sl 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
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Nelle domeniche scorse abbiamo incontrato Gesù che informava gli apostoli dicendo: “Ecco, stiamo salendo a Gerusalemme, dove il Figlio dell’uomo sarà crocifisso”.
Oggi, con la guarigione del cieco, inizia l’ultimo pezzo di strada che, partendo da Gerico, porta a Gerusalemme. Il cieco attendeva i pellegrini lungo questa strada per chiedere l’elemosina, come ai nostri tempi fanno quelli che si fermano ai semafori delle città.
Il cieco, per quello che aveva sentito raccontare di Gesù, quale elemosina maggiore poteva chiedere, se non quella di riottenere la vista?
Da notare che, quanto narrato, non è semplicemente il racconto di un miracolo, ma, come sempre in analoghe narrazioni, il fatto diventa un modello esemplare di come si diventa discepoli di Gesù. Infatti, abbiamo ascoltato: “Và, la tua fede ti ha salvato. Ci vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”.
Per lui fede, guarigione, salvezza e sequela coincidono. La cecità, allora, non è stata solo malattia, ma anche un mezzo per arrivare alla fede. Quanti dovrebbero dire “grazie” per malattie o altro che li ha aiutati a scoprire e crescere nella fede!
Quanta gente, per esempio, che ammalata va a Lourdes, torna dicendo: “Non ho pregato per la mia guarigione, ma per quella degli altri. A me à bastato capire quanto Dio mi vuole bene!”.
Cosa dice a noi, all’inizio di questo anno, denominato “Anno della fede”? Quali frutti ci aspettiamo da esso?
Sarebbe bene che, con coraggio, ognuno partisse dalla consapevolezza della propria cecità e delle sue conseguenze. Una cecità che non si limita alla malattia fisica ma che tocca il rapporto con Dio e con il prossimo. Purtroppo, siamo ciechi dentro!
Sarebbe bene che ognuno gettasse via il mantello e balzasse in piedi perché capisce che potrà vedere di nuovo.
Vedere che cosa? Quello che è espresso nella risposta di Gesù: “Và, la tua fede ti ha salvato” e che fa eco a quell’altra espressione di Geremia: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto di Israele”.
Geremia si rivolgeva agli esiliati di Israele, mai abbandonati dal Signore: “Erano partiti nel pianto, li riporterò tra le consolazioni… perché io sono un padre per Israele”.
Si tratta di vedere Dio che ci vuol guarire, anzi che ci vuol salvare.
Si tratta di vedere Dio che ci vuole sempre bene, che non ci abbandona anche se noi gli giriamo le spalle; che è sempre pronto al perdono, perché infinita è la sua misericordia; che è sempre pronto a riempirci di doni.
Si tratta di vedere la presenza di Dio in tutti i fratelli e sorelle, trattandoli nella stessa maniera con cui Dio tratta noi. Avere per loro l’atteggiamento del perdono, dell’accoglienza, della fiducia; avere la capacità di sopportare i loro limiti, nella speranza e nell’attesa paziente che cambino vita se sono fuori strada; ma anche vedere al di dentro noi stessi per poter cambiare crescere nella fede e nella carità.
In semplici parole: si tratta di chiedere allo Spirito la luce per vedere persone e cose secondo l’ottica di Dio.
Allora, sarà tutto diverso e la vita sarà piena di gioia anche in mezzo alle tribolazioni.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello