Testi liturgici: Is 53,10-11; Sl 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45Per documento: clicca qui
Noi siamo dalla parte degli apostoli o dalla parte di Gesù?
Fin che cerchiamo, “come prima cosa”: il potere, gli onori, l’essere tenuti in considerazione, il primeggiare, e a questo finalizziamo ogni nostra parola e azione, siamo dalla parte degli apostoli.
Giacomo e Giovanni, pur illudendosi, pensano che dalla sequela di Gesù, avrebbero ricevuto gloria e privilegi e perciò si ostinano a rivendicare per sé i primi posti, dicendo: “Concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
Quando, nella nostra vita, cerchiamo questa meta del voler primeggiare, si creano litigi e divisioni: nelle famiglie, nel lavoro e nei gruppi. Infatti, lo abbiamo sentito: “Gli altri dieci cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”.
Notate bene: ho detto “come prima cosa”. Se ci sono gratificazioni e riconoscimenti, non cercati, ben vengano; ma non viviamo per questi e non ci lasciamo dominare da questi. Ecco perché Gesù risponde: “Voi non sapere quel che chiedete”.
Solo se abbiamo la capacità di donarci, amando e servendo gli altri, siamo dalla parte di Gesù. È qui che consiste la vera grandezza.
Chi più grande di Gesù? Appunto, perché “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita”.
Notiamo, poi, una cosa. Non è detto: “Tra voi non sia così”, ma: “Tra voi non è così”. Non è una meta da raggiungere, ma è un dato di fatto.
Che dire di quel personaggio misterioso di cui ci ha parlato Isaia?
Lo abbiamo ascoltato: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori”. Di questo personaggio anche gli apostoli non avevano ancora capito granché.
Perché questa profezia di Isaia?
Ai Giudei, che attendevano il re messia il quale avrebbe liberato il popolo, il profeta annuncia un personaggio sofferente che riuscirà in questa impresa, ma non attraverso i mezzi portentosi e spettacolari, come pensavano loro.
Egli raggiungerà lo scopo per mezzo della sua sofferenza redentrice e della sua morte che sarà a vantaggio di tutti.
Questa profezia restava misteriosa anche ai tempi di Gesù. Perfino gli apostoli non avevano ancora capito che, proprio in Gesù, la profezia si sarebbe realizzata pienamente, nell’umiliazione della croce.
Cosa dice a noi oggi? In cosa, soprattutto, noi possiamo dimostrare di essere capaci di donare la vita?
Non si tratta, se non in casi eccezionali e straordinari, di morire martiri, secondo l’accezione comune del termine.
Si tratta invece di vivere bene la quotidianità, ognuno rimanendo al proprio posto e nel compimento esatto e con amore del proprio dovere, senza aspettarsi chi sa che cosa.
Questo è il servizio che ci fa grandi. Infatti, la grandezza e il merito dell’opera compiuta, non si misura dalla sua più o meno risonanza, ma dal grado di amore con cui è vivificata.
E chi non può fare più di tanto, o addirittura nulla, causa malattia o altro?
Nel vivere bene la quotidianità va compresa anche la situazione nella quale, materialmente e fisicamente, non possiamo fare attività, causa la malattia, l’anzianità, l’impossibilità prodotta da fattori esterni.
Se questi limiti si offrono con amore, sono grandi davanti a Dio e, visti alla luce della fede, sono pure un servizio a vantaggio dei fratelli.
Vedete come sono importanti le persone anziane!
Direbbe San Paolo: “Compio nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo”.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello