Omelia delle domeniche e feste Anno B
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
7 dicembre 2025 * S. Ambrogio vescovo
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Vite e tralci
Testi liturgici: At 93,26-31; 1Gv 37,18-24; Gv 15,1-8
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Iniziamo questa nostra riflessione prendendo dal vangelo due espressioni pronunciate da Gesù.
La prima: “Io sono la vite e voi i tralci”.
La seconda: “Rimanete in me e io in voi”.
Ambedue sono dette a modo di immagine per far comprendere un significato piuttosto nascosto, ma molto importante e profondo.

Pensando all’immagine della vite e dei tralci, sappiamo e comprendiamo benissimo che, se un tralcio non rimane innestato alla vite ma viene tagliato, la sua sorte è quella di seccarsi con la inevitabile conseguenza di non portare alcun frutto.

Trasferiamola nella realtà intesa da Gesù. Se egli è la vite e noi siamo i tralci, questo significa che non possiamo in alcun modo separarci da lui, se nella vita vogliamo portare frutto e frutto abbondante.

In cosa consiste il frutto?

Il frutto consiste nel raggiungere la salvezza e la vita eterna ma nel contempo pure nel combinare qualcosa di buono nella vita di tutti giorno. Per riuscire in questo abbiamo estremo bisogno di essere uniti e legati a Gesù. Senza di lui siamo dei falliti, su ogni fronte.

Purtroppo, se ci pensiamo bene, nella società di oggi, ed in qualche modo anche nella Chiesa di oggi, si sta perdendo questo legame con Gesù e quindi con Dio.

Faccio solo un esempio. In una situazione di emergenza quale stiamo vivendo, anni addietro saremmo andati anzitutto a pregare, a fare tridui e novene per implorare l’aiuto del Signore, senza ovviamente trascurare la parte nostra ed anche le cure mediche necessarie.

Oggi, purtroppo, ci stiamo affidando solo alle nostre capacità, alla scienza, alla medicina, convinti di risolvere tutto nel farcela da soli.

Può funzionare questo? Ho i miei dubbi, perché la vita è nella mani del Signore.

Pur tuttavia il Signore, nonostante ciò, si sta servendo anche di questo nostro comportamento sbagliato, per portare avanti il suo disegno di amore per noi.

Infatti se la sofferenza che stiamo attraversando è da noi accolta con fede e nella fede, nelle mani del Signore diventano come una potatura, analogamente a quella che si fa nella vite, e questo perché porti più frutto.

In altre parole, anche se al momento la potatura sarebbe un fatto doloroso – spesso si vede nella vite lo sgocciolio della linfa che potremmo paragonare al pianto – tutto può e deve servire per farci fare un salto di qualità, una scelta tale che ci aiuti a portare più frutto. Ovviamente, questo avviene solo se cominciamo a vivere nella volontà di Dio.

La potatura serve perché la vite non metta tutta la sua energia nel produrre solo foglie, ma per orientarla a produrre frutto.

Pertanto, non dobbiamo meravigliarci se nella vita subiamo tante forme di potatura: la fatica, le malattie, le umiliazioni, gli insuccessi, le incomprensioni, le delusioni, e così via. Tutte cose che non sono mandate direttamente da Dio, ma che servono a lui per farcele ben utilizzare. Servono, o dovrebbero servire, per farci riflettere e per meglio orientarci verso il Signore stesso.

Tra l’altro dovrebbero aiutarci ad uscire da un nostro modo di vivere nell’individualismo, nel voler prevalere sull’altro, nel fare le cose solo per tornaconto, nel pretendere di volere tutto e subito.

Dobbiamo proprio pensare che tutti siano nella stessa barca che sta affondando e che ci fa gridare, come una volta avevano gridato i discepoli a Gesù: “Signore, salvaci siamo perduti!”.

Si tratta di andare a avanti non ognuno per conto proprio, secondo il proprio punto di vista, ma tutti insieme aiutandoci vicendevolmente, mossi da vero amore.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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