
Testi liturgici: I Sam 3,3-10.19; I Cor 6,13-15.17-20; Gv 1, 35-42
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I due discepoli di Giovanni domandano a Gesù di sapere dove abita. Ed ecco la risposta: “Venite e vedrete”.
Questo per dire che spesso le parole non bastano per spiegare e far comprendere bene una cosa. La migliore sarebbe quella di farne esperienza.
Per spiegare questo, facciamo una banale analogia.
Una cosa, ad esempio, è voler far sapere la bontà di un dolce facendo conoscere gli elementi che lo compongono, sia pure consegnando in mano la ricetta scritta; tutt’altra cosa è invece poterlo assaggiare e gustare. Solo così, infatti, possiamo esperimentare la sua bontà, la sua raffinatezza, la sua prelibatezza.
Questa analogia è per applicarla alla nostra vita cristiana. Per gustare la bellezza e la gioia del vivere da cristiani, non bastano le parole e gli studi. Potremmo anche sapere a memoria tutto il vangelo, ma non è sufficiente per farne esperienza vera, perché essa non è un fatto intellettuale ma è una questione di vita.
Il cristiano, infatti, non è colui che conosce solo una dottrina, ma colui che incontra una persona, facendo una esperienza concreta di tale persona. Questa persona è Gesù Cristo, sempre vivo e operante in mezzo a noi, l’unico che ci porta la vera pace e serenità, la gioia del vivere.
Però, attenzione a ben comprendere! Non si tratta tanto di averlo come amico che ci accontenta in tutto, ma si tratta di fidarci di lui, di seguirlo e non di precederlo. Il precederlo sarebbe come a volerlo tirare dalla nostra parte, perché ci aiuti a fare quello che vogliamo noi. Non è lui, invece, a dover seguire i nostri criteri, ma sta a noi seguire i suoi, anche se a volte potrebbero non piacerci.
Del resto, non è avvenuto così anche con Pietro, quando voleva impedirgli di salire a Gerusalemme per morire in croce?
La risposta di Gesù di quella volta era stata: “Vai dietro a me, Satana”.
Cioè, non stare davanti a me per guidarmi, ma sta di dietro a me, perché sono io a guidarti. Certamente questo criterio di seguire Gesù non è una cosa innata in noi, si tratta di raggiungere la meta con l’impegno quotidiano. Ed ecco, a tal proposito, due figure che oggi ci sono state presentate, quella di Eli, il sommo sacerdote, e quella di Samuele, il ragazzo principiante.
Ambedue stanno vivendo un comportamento non perfetto, ma con il tempo riescono a migliorarlo.
Eli, infatti, si era piuttosto allontanato dal Signore, non era più in piena sintonia con Lui. È questo il motivo per cui non comprende subito che era il Signore a chiamare Samuele. Ed è per questo che il testo ha sottolineato: “La parola del Signore era rara in quei giorni e le visioni non erano frequenti”.
Solo successivamente comprenderà che era il Signore a chiamare Samuele per cui riuscirà a dargli la giusta risposta: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”.
Anche Samuele all’inizio non comprende, non riesce a capacitarsi. Del resto è un ragazzo inesperto, tanto più che neppure era stato aiutato da Eli. Però in lui c’è un fatto positivo, quello di essere un ragazzo retto, aperto, docile, disponibile, sempre pronto a dire il suo: “Eccomi!”.
Per confermare tale prontezza e disponibilità, il testo conclude: “Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”.
Potessimo anche noi nella vita a non lasciarci sfuggire nessuna parola del Signore!
Da notare bene che la parola del Signore non è solo quella ascoltata con gli orecchi, ma passa pure in tutto quello che ci capita ogni giorno. Si tratta anche attraverso i fatti quotidiani a saperla leggere mettendo in pratica la volontà di Dio. Questo però avviene solo se siamo persone che sanno fare silenzio, cioè che sono riflessive, che sono capaci staccarsi dal chiasso e dalla vita frenetica.
In altre parole, questo non è altro che essere persone di preghiera.
Sac. Cesare Ferri rettore del Santuario di San Giuseppe in Spicello