Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
6 dicembre 2025 * S. Nicola
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26 Domenica C Ricco epuloneTesti liturgici: Am 6,4-7; Sl 145; I Tim 6,11-8; Lc 16,19-31
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Anche oggi come domenica scorsa, per la voce del profeta Amos, troviamo un richiamo del Signore relativo alla ricchezza ed al suo cattivo uso.
Il cattivo uso è quando si adopera solo per se stessi, solo per godersi la vita, dimenticando gli altri.
Ecco come lo descrive il profeta, riferendosi ai ricchi del tempo: “Distesi su letti di avorio e sdraiati su divani … bevono il vino … si ungono con unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano”.
Non è importante quello che abbiamo o non abbiamo nella vita; quello che conta, invece, è il cuore che mettiamo nel condividere le cose che abbiamo.
Se non facciamo questo, possiamo anche avere il meglio dalla vita, ma siamo soltanto ed inesorabilmente sterili, destinati a morire senza lasciare nulla dopo di noi stessi. Lasciamo solo le ricchezze che diventano motivo di liti e rancori per gli eredi.
Le persone egoiste non sono ricordate in bene da nessuno, forse solo per essere maledette, ma di fatto non rimane nulla di loro nella storia.
A questi lauti banchetti dei ricchi, descritti dal profeta Amos, fa preciso eco la parabola evangelica.
Essa si sviluppa nella contrapposizione, in vita e in morte, dei due personaggi. In vita, l’uno è egoista e l’altro è dimenticato; in morte l’uno è perduto per sempre, l’altro è eternamente felice.
È da notare, inoltre, che il ricco è senza nome, mentre il povero si chiama Lazzaro.
La cosa è quanto mai significativa, come dicevamo pocanzi, perché uno come il ricco non fa storia e la figura non è ricordata da nessuno.
Inoltre, è da osservare come il tema di fondo della parabola è proprio quello di una ricchezza che non garantisce sicurezza, anzi.
Infatti, godersi la vita, per quanto gradevole, alla fine non basta, ed è quello che capita al ricco in parola.
Al di là delle apparenze, Gesù descrive la situazione di questo ricco in maniera molto triste: è vero che veste in maniera raffinatissima e banchetta lautamente, ma in realtà è da solo. Tanto è vero che, pur avendo cinque fratelli, non c’è nessuno che si relazioni con lui.
La vita, lo sappiamo, è difficile per tutti. Eppure c’è qualcosa che ci permette di renderla meno dura: è l’attenzione ai bisogni degli altri, che ci apre il cuore e che ci rende capaci di portare un po’ di sollievo nelle vita degli altri. 
Quando facciamo questo, miracolosamente anche la nostra vita viene curata e guarita da Dio, assaporando le vere gioie.
Ma perché nasca questo atteggiamento nel cuore, bisogna ascoltare e nutrirsi della parola di Dio, che è la sola lampada per i nostri passi.
La fede, infatti, non ha bisogno di episodi eclatanti. I miracoli sono superflui o, quanto meno, non necessari. Basta la Parola di Dio per nutrire noi e far crescere la comunità familiare ed ecclesiale.
Pertanto, non servono neppure analoghe esperienze sensazionali e nuove, come molti ansiosamente cercano. Non serve neppure quello richiesto dal ricco, cioè la risurrezione di un morto.
Ed è proprio quello che Gesù mette sulla bocca di Abramo: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.
Ascoltare la Parola non è sempre facile e spontaneo. Si tratta, come ci ha detto Paolo, di combattere la buona battaglia.
Le armi con cui si combatte questa battaglia non sono spade o pistole, ma l’impegno a vivere ogni giorno nella volontà di Dio, illuminati e sostenuti, appunto, dalla sua parola.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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