Testi liturgici: I Sam 1,20-22.24-28; I Gv 3,1-2.21-24; Lc 2, 41-52
Per il documento: clicca qui
Iniziamo questa nostra riflessione partendo dal fatto di voler considerare e applicare a noi il gesto di Anna.
Siccome il Signore aveva esaudito la sua preghiera, con la quale chiedeva di avere un figlio e che a sua volta, facendone voto, lo avrebbe a sua volta offerto al Signore stesso, eccola di nuovo al tempio, non solo per offrire gli animali come prescritto dalla legge, ma anche e soprattutto per mantenere la promessa fatta, quella di offrire il figlio, appartenente appunto al Signore come promesso.
Chi di noi, soprattutto se genitore, non è chiamato a imitare il comportamento di Anna?
Però, purché tutto questo sia basato su convinzioni profonde!
In altre parole, si tratta di sapere una cosa molto importante, che cioè tutti i figli di fatto non sono proprietà dei genitori, ma “appartengono” più a Dio che a loro. E’ vero che Il Signore li ha affidati ai genitori, ma per un incarico, quello di aiutarli a crescere secondo il disegno del Signore stesso.
Per questo motivo, sbagliano quei genitori che pretendono crescerli secondo un loro punto di vista, tra l’altro e spesso, non consono con quello del Signore. E’ quello che vuole insegnarci il brano evangelico di oggi.
L’episodio della perdita di Gesù fanciullo, certamente mostra uno dei momenti più drammatici vissuti dalla Santa Famiglia di Nazareth. Il perdere Gesù è stata un’angoscia inimmaginabile per Maria e Giuseppe perché essi, avendo ricevuto il compito di farlo crescere, allevare e custodire, di fatto, in questa circostanza, non sembrerebbe riuscita.
La grande gioia di averlo ritrovato, a sua volta viene quasi annullata dalla risposta del Figlio: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
E’ la conferma di quanto abbiamo detto pocanzi, che cioè i figli non siano come li vorrebbero i genitori, ma come li vuole il Signore.
Pur tuttavia, l’obbedienza dei figli rimane sempre valida, proprio come ha proseguito il testo: “Scese con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso”.
Qualcuno potrebbe dire: “E’ bello tutto questo, quello di avere figli e nipoti, attenti e obbedienti, ma purtroppo i nostri non sono sempre così!”.
Qualche altro potrebbe dire: “Dove ho sbagliato per avere un figlio così ribelle, che tra l’altro ha pure smesso di andare a Messa?”.
La stessa cosa avrebbero potuto dire anche Maria e Giuseppe, a seguito della esperienza subita!
Ma è proprio in questi casi che abbiamo l’occasione per esaminare noi stessi, per poter discernere ed eventualmente raddrizzare il tiro, facendo un salto di qualità.
E’ vero che qualche volta si potrebbe sbagliare e quanti genitori purtroppo sbagliano!
Questo avviene soprattutto quando l’azione educativa è fatta solo per l’apparenza, per una buona immagine davanti all’opinione pubblica, oppure solo per raggiungere un proprio disegno. Tanto più se tutto questo è limitato solo a desideri, parole e pretese, senza però che corrisponda ad una personale e convinta testimonianza di vita.
Pur tuttavia, se la testimonianza non è mancata, se abbiamo fatto bene la nostra parte, e soprattutto se siamo condotti dalla fede, pur soffrendo ed offrendo la sofferenza a Dio in una continua preghiera, si riesce a vivere in una serenità profonda, sia pure sofferta. Questo in forza della convinzione per la quale sappiamo che i tempi di Dio non sono i nostri.
Dobbiamo riuscire a mettere nel cuore il comportamento di Maria la quale, anche se lì per lì non ha capito il valore della risposta di Gesù, ha continuato a riflettere per meglio capirlo in seguito, quello che sarebbe dovuto essere il suo comportamento.
È stato proprio questo l’atteggiamento di Maria e di Giuseppe, come si evince dalle parole ascoltate: “Essi non compresero quello che aveva detto loro… Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello