Testi liturgici: Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
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All’inizio della prima lettura abbiamo ascoltato queste espressioni: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza”.
Con queste parole, cosa intendeva dire il profeta Isaia al suo popolo?
Per comprenderlo dobbiamo risalire alla situazione storica, a quella che stava vivendo in quel tempo il popolo stesso. Gerusalemme era stata distrutta, il suo tempio incendiato, la popolazione deportata in schiavitù a Babilonia, dove già vi stava dimorando da settanta anni, ormai in maniera rassegnata e triste.
Ma ecco che arriva il giorno in cui il messaggero grida dall’alto, la sua voce porta la bella notizia con cui dichiara che la schiavitù è finita, ora potranno tornare liberamente in patria.
Subito le sentinelle della città, piene di esultanza, diffondono la notizia alla gente ivi ancora rimasta viva.
Come detto, ha un significato storico per la situazione di quel tempo, ma è anche l’anticipazione di un altro fatto storico, non solo riferito ai problemi di questo mondo, ma soprattutto con una prospettiva eterna.
Questo fatto storico si riferiva alla nostra situazione, alla situazione di tutta l’umanità. Anche noi eravamo caduti nella schiavitù di Satana. Però un bel giorno arriva il messaggero di Dio, un angelo che annuncia la bella notizia: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… è nato per voi Salvatore”.
Non solo, ma poi tutta la schiera celeste che canta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.
Questo è quanto mai valido e molto consolante per noi, deve servire per togliere ogni rassegnazione e tristezza per tutto quello che quotidianamente siamo costretti ad esperimentare. Da quel momento non siamo soli a lottare contro il male e non dobbiamo temere nulla, perché Dio si è fatto uno di noi per aiutarci ad essere come lui, per rimanere in lui nella pace e serenità.
Questo non tutti lo sanno, o meglio non tutti se ne rendono pienamente conto, per cui sta a noi, se lo abbiamo capito, ad essere come quelle sentinelle che annunciano e diffondono la bella notizia.
Cosa fa la sentinella?
Se si accorge che arriva un pericolo, deve gridare: “all’erta”; ma se arrivasse qualcosa di bello, dovrebbe gridarlo forte e con gioia: “siate felici”.
Siamo noi tali sentinelle? Lo gridiamo forte che Dio ci vuole bene, che è al nostro fianco per aiutarci?
Questo di certo non solo con la voce e con le parole, ma soprattutto con lo stile di vita, con la serenità del volto, con la pazienza quotidiana.
Sparirebbero tutte le lamentele, le insofferenze e le paure. Sparirebbe la sfiducia. Cose tutte che, purtroppo, stanno dominando quanto mai le persone e la società.
Dobbiamo riacquistare fiducia e trasmettere tale fiducia ad un mondo in cui tutto diventa oggetto di sospetti e paure, in cui facilmente ci si intristisce e che ci conduce ad essere sempre allarmati.
Ecco, infatti, cosa incontriamo in questo mondo. Per i giovani, gli anziani sono una minaccia; per i genitori, i figli sono una preoccupazione; per i vecchi, i giovani sono una sconfitta; per i figli, i genitori sono una incognita pesante; per i cittadini, i politici sono approfittatori; e così via.
Troppe sentinelle, purtroppo distratte o addormentate, intercettano solo questi tipi di messaggi. Non sono più capaci di annunciare la pace, non prorompono in grida di gioia.
Avviene questo perché hanno perso di vista Colui che è il Salvatore, Colui che è la pace in persona, Colui che ci assicura la vera gioia.
Proprio come hanno cantato gli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini”.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello