Omelia delle domeniche e feste Anno B
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
9 dicembre 2025 * S. Siro vescovo
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Vite e tralciTesti liturgici: At 9,26-31; Sl 21; I Gv 3,18-24; Gv 15,1-8
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Espressione dalla seconda lettura in cui è detto quello che il Signore si aspetta da noi: “Questo è il comandamento, che ci amiamo gli uni e gli altri”.
Quali sono le caratteristiche di tale amore?
È detto all’inizio della lettura: “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”.
Pertanto, per essere cristiani, non si tratta di credere chissà a quali dottrine misteriose o fare cose eclatanti, tali da attirare e polarizzare l’attenzione degli altri su noi.
Il Signore ci chiede semplicemente che ci diamo da fare per amare con i fatti e non solo a parole, mettendo al centro del nostro comportamento la gloria di Dio e il bene degli altri, senza preoccuparci di quale vantaggio possa esserci per noi.
Vale per tutti ed in ogni situazione. Vale anche, e soprattutto, per chi vuole educare; non solo parole rivolte agli altri, ma non vissute nella nostra vita, oppure vissute ipocritamente, cioè non nella verità e nella convinzione.
Chi vive ipocritamente, sarà scontento perché raccoglierà delusioni e per di più non accantonerà nulla per la propria salvezza.
Chi vive nella sincerità, avrà anche da soffrire, ma interiormente sarà sereno gioioso, sicuramente esperimenterà l’aiuto della grazia che viene dal Signore.
È quello capitato a Paolo, come ascoltato nella prima lettura.
Nel brano di oggi è evidenziata la sua sofferenza perché, in un primo momento, gli altri non si fidano di lui.
Nel secondo momento, esperimenta un’altra sofferenza perché gli altri tentano di ucciderlo.
È un dato di fatto che, potremmo dire, vale per tutti i cristiani.
Come riuscire a farvi fronte, superando difficoltà e prove?
Il Vangelo ci ha dato la spiegazione e il modo, dicendoci: “Chi rimane in me, ed io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
La cosa è talmente importante che Gesù, per farlo comprendere, utilizza una immagine molto semplice ed estremamente comprensibile: parla del rapporto che ci deve essere tra lui e i suoi discepoli, paragonandolo a quello che intercorre tra la vite e i tralci.
È impossibile che un tralcio possa vivere staccato dalla vite: non riceverebbe linfa e morirebbe nel giro di pochissimo tempo.
Lo stesso vale per noi cristiani: guai se pensassimo che, a renderci “bravi”, sia la nostra bontà o la nostra capacità.
Anche noi, infatti, corriamo continuamente il rischio di staccarci dalla vite, da Gesù, dalla grazia di Dio. Questo avviene quando confidiamo in noi stessi più che nell’aiuto del Signore.
In tale caso, per quanto belle parole possiamo dire o belle azioni possiamo compiere, ci stiamo separando da Dio, rischiando di seccare e morire spiritualmente.
Interessanti, per concludere, anche le altre parole in considerazione del fatto che desideriamo essere sempre ascoltati dal Signore: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà fatto”.
Qualcuno potrebbe dire: “Se ci ha detto di ascoltarci sempre, perché invece a me non ascolta sempre?”.
Si tratta di notare bene l’inciso: “Se le mie parole rimangono in voi”, cioè se cerchiamo e accettiamo sempre la volontà di Dio, cosa che potrebbe anche essere diversa dalla nostra prospettiova.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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