Testi liturgici: Pr 9,1-6; Salmo 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
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"La sapienza - abbiamo ascoltato - si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne…”.
La sapienza è una scienza o è una persona?
È Dio stesso la Sapienza che si è manifestata a noi nel Cristo. Gesù è la “Sapienza”, altrove è definito anche: “Verbo” o “Parola” o “Pensiero del Padre”.
Pertanto, chi accoglie Gesù e chi cerca la volontà del Padre è il vero “sapiente”. Questa sapienza, a differenza di quella umana, non ha bisogno di particolari qualità per essere raggiunta. Non è necessario essere intelligenti, o dover studiare o leggere tanti libri. Anzi, è essa stessa che si offre a noi, se abbiamo la volontà di accoglierla.
Tra l’altro oggi ci ha detto: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato”.
In maniera più esplicita Gesù dice che questo pane e vino è lui stesso: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Solo chi fa questo ottiene la vera sapienza, cioè la salvezza e la vita eterna: non c’è altra strada.
Per noi oggi il fatto non crea un gran problema, ma per allora era incomprensibile e impossibile, suscitava scandalo. È comprensibile, allora, l’aspra discussione dei Giudei fra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
Ma, veniamo a noi. Perché tanti cristiani non si premurano, almeno la domenica, di ottenere la sapienza e di nutrirsi del pane che è Cristo? Abbiamo sentito Paolo: “Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, fate buon uso del tempo”.
C’è il rischio che anche la domenica si facciano tante cose, ma si perdono di vista quelle essenziali.
Perché altri, pur partecipando alla Messa, non riflettono abbastanza sulla parola ascoltata per crescere nella sapienza? E perché, altri ancora, non si nutrono del cibo eucaristico?
Certo, per fare questo bisogna essere in grazia di Dio! Perché, allora, non si premurano di accostarsi più frequentemente alla confessione?
Inoltre, potrebbe dare fastidio il sentirsi definire un “magna ostie”. Se questa espressione ha un fondamento di verità, perché fuori della chiesa ci comportiamo male, allora cerchiamo di correggerci. Ma se questo non fosse vero, non bisogna farci caso, ricordando che Gesù ha detto: “Non c’è discepolo da più del maestro; se hanno detto male di me, lo diranno anche di voi”. E allora, sempre avanti.
Dove sta la base teologica di quanto stiamo dicendo?
In quello che lo stesso Giovanni dice all’inizio del vangelo: “Il Verbo si è fatto ‘carne’ ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”.
Non ha detto che si è fatto “uomo”, ma “carne”. Gesù non è uno che ha preso le sembianze umane, ma si è “incarnato”.
La conseguenza applicata a noi: non basta ascoltarlo solo come colui che, parlandoci, ci dona la “sapienza”; ma anche come colui che vuol nutrirci della sua “carne”.
Si tratta di accettarlo nella sua pienezza: come vero Dio e come vero uomo. Rifiutare che l’Eucaristia sia una relazione “fisica” con il Verbo che si è fatto carne, significa rifiutare la vita eterna.
Questa vita eterna viene donata e ricevuta non solo in termini simbolici, ma reali: in “carne e sangue”.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello