PERDONARE LE OFFESE RICEVUTE
(Testo di riferimento Mt 18,19-22 )
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In quel tempo Gesù disse: “In verità vi dico che, se due di voi sulla terra saranno d’accordo su qualcosa da chiedere, qualunque essa sia, sarà concessa dal Padre mio che è nei cieli. Infatti, dove sono riuniti due o tre nel mio nome, ivi sono io, in mezzo a loro.
Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonarlo? Fino a sette volte?”. Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”.
Introduzione
La domanda di Pietro è posta dopo l’insegnamento di Gesù sul valore della preghiera comunitaria.
Come mai? C’è forse riferimento fra preghiera comunitaria e perdono?
Sì, perché quando si vive in comunità, il perdono diventa necessario.
Infatti, ognuno è diverso dall’altro e, vuoi o non vuoi, con colpa o senza colpa, l’altro potrebbe non soddisfare pienamente i desideri di chi gli sta accanto e quindi, in un certo senso, diventa una specie di nemico o concorrente, da capire, perdonare ed accettare.
Questo generalmente lo si fa, se ci si limita al carattere della persona.
Però, può pure succedere che chi ci è vicino ci offenda, volutamente o meno; è proprio qui che entra la necessità più diretta del perdono.
Ma attenzione, perdonare non significa giustificare il male. Si perdona la persona che ha compiuto l’azione, si può ricorrere alla eventuale correzione fraterna, ma non può essere giustificato il suo mal comportamento.
Anche Gesù, perdona l’adultera, ma le dice di non peccare più!
Quale comunità intendiamo, nel nostro discorso?
La comunità è da intendersi su diversi livelli.
Alla base c’è quella familiare, a cominciare proprio tra marito e moglie; e poi dai figli, dai fratelli, dai cognati e suoceri.
Quante occasioni per perdonarsi in famiglia!
E poi c’è la comunità parrocchiale, ci sono quelle formate dalle associazioni e gruppi. In ognuna di esse, purtroppo e spesso, serpeggia l’arrivismo, la competizione, l’invidia, e così via.
Quante occasioni, anche qui, per esercitare il perdono!
In cosa consiste il perdono
Perché Pietro fa la domanda sul “quante volte” perdonare?
Da notare che, proprio per il suo carattere esuberante, il perdonare sette volte, sarebbe stata una meta alla quale nessuno sarebbe mai arrivato. Per cui lui si sente bravo, davanti a Gesù!
Nella domanda, Pietro si ferma sulla quantità.
Del resto, era stato educato così! I maestri di Israele, infatti, insegnavano che il perdono va dato una sola volta alla moglie, al massimo cinque volte ai fratelli, citando Dio che perdonava sino a tre volte lo stesso peccato.
Di fronte a tale insegnamento, Pietro sarebbe stato un fuori serie, un eccezionale campione del perdono!
Gesù invece, con la risposta di “settanta volte sette”, vuol farci capire che l’importante non è tanto il numero delle volte e quindi la quantità, ma è la qualità del perdono stesso; esso deve essere di cuore e senza limiti; ecco l’espressione “settanta volte sette!”.
Gesù non esclude che vi siano dissapori nelle nostre comunità, anzi sono anche necessarie per metterci alla prova e per aiutarci a crescere nella carità.
Però ognuno deve cercare di evitarli, sia con il proprio comportamento, sia cercando di comprendere quello proveniente da altri, per i quali, purtroppo, ci sono anche non poche sofferenze da sopportare.
L’importante è che tutto questo non distrugga la comunione fra noi.
Ma attenzione! Abbiamo l’esatta conoscenza di cosa sia la “comunione?”.
La “comunione” non è, come alcuni pensano, l’assenza di tali dissapori e il pieno accordo in tutto. Magari lo fosse! Invece, la comunione consiste nel continuo personale impegno di evitarli, e nel contempo di comprendersi e di perdonarsi.
La cosa è possibile solo con l’aiuto del Signore.
La “comunione”, infatti, è opera della Spirito Santo; solo Lui la costruisce, a condizione che siamo a lui docili, pure attraverso le nostre dissonanze.
Del resto, non è quello che a lui chiediamo in ogni Messa, dopo la consacrazione?
Ne cito solo due. Nella seconda preghiera eucaristica, rivolgendoci al Padre, diciamo: “Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”.
Nella terza diciamo: “A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”.
Di qui, allora, comprendiamo il motivo del “quando due o più sono uniti nel mio nome e pregano, io sono in mezzo a loro”.
Ecco perché diventa importante la preghiera comunitaria, a cominciare da quella tra marito e moglie, almeno qualche volta.
Pertanto, la forza e la qualità del perdono procedono dall’essere uniti in preghiera. C’è un segno evidente che dimostra questo: quando c’è ruggine tra persone, non si riesce a pregare assieme.
Facciamo ora qualche riflessione sul perdono stesso e sui suoi vantaggi.
Riflessioni sul perdono
Diciamo subito che il perdono non è qualcosa di semplice e di immediato, e neppure di facile spiegazione.
Non è una bacchetta magica, capace di annullare il male e di riportare tutto come prima, come a volte si dice: “mettiamoci una pietra sopra”.
Si tratta di un processo lento, che richiede tempo e fatica. Pertanto il perdono, più che essere spiegato, va sperimentato.
Per meglio comprendere in cosa consista, è utile conoscere quello che il perdono non è.
1. Qualcuno dice che il perdono è contrario alla giustizia.
In realtà, perdono e giustizia sono modalità differenti. Il perdono è un atto interiore, la giustizia è un atto esteriore.
Il perdono riguarda i sentimenti, le emozioni e le valutazioni interiori; la giustizia l’aspetto giuridico e istituzionale.
In forza di queste distinzioni, ne segue che è possibile ottenere giustizia senza perdono, e dare perdono senza ottenere giustizia.
2. Qualcuno dice di non voler incontrare l’offensore.
Dietro questa espressione vi è la tendenza, molto diffusa, a confondere il perdono con la riconciliazione.
La riconciliazione riguarda l’ambito esteriore e, quindi, il rapporto tra offensore e offeso, il perdono invece è un fatto strettamente personale.
È vero che il riallacciare i rapporti con l’offensore sarebbe l’ideale, ma non è sempre possibile, per lo meno subito.
La riconciliazione non coincide con il perdono; sono due cose diverse.
Anzi, senza un lavoro previo sui propri sentimenti, ed in particolare sulla rabbia, c’è il rischio di una riconciliazione forzata, che si inasprisce ulteriormente.
In secondo luogo, non è detto che il perdono venga sempre accolto dall’offensore. Infatti, questi non si potrebbe considerare tale; anzi, potrebbe perfino scorgervi una specie di vendetta nei propri confronti.
Come, d’altro lato, la parte lesa potrebbe respingere un atto eclatante di riconciliazione, perché teme che un tale gesto possa essere interpretato come una specie di approvazione del comportamento tenuto dal colpevole, il quale potrebbe sentirsi autorizzato a ripeterlo nuovamente.
In altri casi ancora, la riconciliazione non è materialmente possibile perché la persona non è più presente (lontana fisicamente o deceduta); o per il concreto timore che la ricostituita vicinanza possa riattivare vissuti troppo forti per l’offeso, specie se si sono verificati episodi di violenza, di minacce, di forte contrasto; la conseguenza sarebbe che si potrebbero aprire nuove ferite, esasperando e aggrovigliando ancora di più la situazione.
Però, ciò non significa che il perdono non possa e non debba anche tradursi in un tentativo di riconciliazione.
In ogni caso, questo potrebbe avvenire in un secondo momento nel quale si esige, come primo passo, una più o meno esplicita richiesta di perdono da parte dell’offensore, che mette in atto gesti concreti per riparare il male compiuto.
3. Qualcuno dice di non riuscire a dimenticare.
Perdono e dimenticanza sono atteggiamenti completamente diversi.
Il primo è un atto volontario, il secondo non è volontario.
La dimenticanza, a differenza della memoria, non è frutto di una decisione, per cui non ha rilievo dal punto di vista del perdono. Se uno avesse veramente dimenticato, non avrebbe più nulla da perdonare.
Il perdono, invece, nasce dalla costatazione di un qualcosa che fa ancora soffrire perché ritenuto ingiusto; ma nel contempo, sta pure nella ricerca di una modalità diversa per affrontare la situazione.
Si tratta, pertanto, di non coltivare la memoria.
In altre parole, si tratta di non coltivare gli atteggiamenti che rendono più difficile il perdono: il rimuginare il male ricevuto, il rancore, l’odio, il desiderio di vendetta; questi sentimenti vanno sostituiti con altri atteggiamenti più positivi, ad iniziare dalla preghiera a favore dell’offensore.
4. Qualcuno dice che il perdono è una forma di debolezza.
In realtà, esso è esattamente il contrario.
Riesce a perdonare solo chi è interiormente forte, chi ha sempre coltivato atti di bontà, di benevolenza, di comprensione.
In altre parole, riesce a perdonare più facilmente chi vive una grande libertà interiore, chi non è soggetto agli stimoli di “botta e risposta”, come è facile riscontrare nei bambini; riesce a perdonare chi è fondamentalmente retto, sincero e riflessivo.
5. Qualcuno dice che l’offensore deve soffrire per quello che ha fatto.
C’è chi pensa che non dare il perdono sia un modo per punire l’altro, quindi una specie di vendetta.
In realtà, è esattamente il contrario; in tal modo si punisce solo se stessi, torturandosi e impedendo a se stessi di vivere serenamente.
Ci penserà il Signore a sistemare le cose!
In cosa consiste il perdono
A questo punto possiamo dire qualcosa sul perdono, visto in termini positivi.
Non si tratta, nel caso, di giustificare o ritenere lecito quanto è accaduto; e nemmeno di sminuirlo, ma di conoscere e comprendere la prospettiva dell’altro, la sua storia personale, i suoi sentimenti e i suoi vissuti interiori.
Pertanto, si tratta di non giudicare, ma di rendersi conto della situazione personale, familiare e sociale della persona che ha offeso; di comprendere la dinamica del suo comportamento.
Da tener presente, inoltre, che il perdono è “amore gratuito”.
Non garantisce, pertanto, che l’atteggiamento dell’offensore possa cambiare.
Che significa l’espressione: “Se non perdonerete di cuore?”.
Se male inteso, potrebbe suscitare dubbi sulla capacità di riuscirci. Tutto sta, infatti, a comprenderne il significato.
Riporto quello che dice in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica: “È lì infatti, nella profondità del cuore, che tutto si lega e si scioglie. Non è in nostro potere non sentire più e dimenticare l’offesa, ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione, e purifica la memoria trasformando l’offesa in intercessione”.
L’intercessione! Di fatto, l’intercessione non è altro che la nostra preghiera a favore di chi ci ha offeso. Se preghiamo per lui, è segno che lo abbiamo perdonato di cuore.