Testi liturgici: Ger 1,4-5.17-19; Sl 70; I Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
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L’episodio ascoltato sulla vocazione di Geremia è tra i brani più belli della Bibbia e, nel contempo, tra i più impegnativi per tutti e a tutti i livelli.
Infatti, la vocazione ad essere profeti è una chiamata rivolta ad ogni cristiano. L’abbiamo ricevuta, quale dono di Dio, nel giorno del battesimo.
L’essere profeti, pertanto, non è decisione nostra. Si tratta, invece, di scoprire tale dono, per non essere dei falliti nella vita.
Come a Geremia, anche a noi il Signore dice: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho stabilito profeta delle nazioni”.
Nel battesimo ce lo ha rivelato e dato, ma dall’eternità è stato da lui pensato.
In che cosa consiste l’essere profeti?
Consiste nel pensare, parlare e vivere secondo il pensiero di Dio, e quindi in coerenza con il battesimo stesso, appunto perché con esso siamo divenuti suoi figli.
I figli devono ascoltare e assomigliare al padre.
Basta osservare un pochino dentro di noi e intorno a noi, per accorgerci che non siamo pienamente in linea con quanto stiamo dicendo.
Anche Geremia aveva paura di compromettersi e, soprattutto, di non poter riuscire, per la forza del male che lo circondava e lo circuiva.
Infatti, siamo tutti un po’ conformisti, preoccupati di non essere accettati, tanto è vero che facilmente abbiamo il terrore di dire cose diverse, di comportarci in maniera diversa, di andare contro corrente, nei confronti di chi abbiamo davanti.
La risposta di Dio è stata chiara: “Non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro”.
La paura non si vince con la paura, ma credendo che, chi ci chiede un certo comportamento, è più forte di chi ci invita a fare il rovescio.
Chiara anche qui la risposta di Dio: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.
Tanto più questa guerra avviene quando di una persona – come si suole dire - si conoscono vita e miracoli.
Anche a Gesù è capitato questo. Infatti dicevano: “Non né costui il figlio di Giuseppe?”.
Tanto è vero che neppure Gesù, con la sua predicazione, è riuscito ad accontentare tutti.
Come è vera e confortante, a tal proposito, la sua parola: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.
Quando, poi, è stato ancor più esplicito nei loro confronti, abbiamo ascoltato la scena: “Tutti si riempirono di sdegno, lo cacciarono fuori e lo condussero sul ciglio del monte per gettarlo giù”.
Per questo motivo, non dobbiamo spaventarci se anche a noi, in quanto cristiani, viene riservato lo stesso atteggiamento.
Nessuna paura, dunque, anche perché la parola di Dio ha le sue vie e i suoi mezzi del tutto misteriosi che, nonostante i rifiuti, le permette di germogliare e portare frutto nella vita delle persone, in modo del tutto sorprendente.
Però ci vuole una cosa essenziale, ben espressa da Paolo.
Egli chiede che nella Chiesa diventiamo grandi, che non restiamo eterni bambini i quali vedono le cose in modo confuso e, nello stesso tempo, parlano e giudicano in maniera errata.
Con quale mezzo e metodo si diventa adulti?
Con l’amore vero, sincero e concreto.
Il meraviglioso inno alla carità che abbiamo ascoltato dice tutto. Se manca la carità, non siamo veri profeti; questo anche se siamo dotati di particolari carismi.
Se vogliamo essere veri profeti e testimoni, dobbiamo crescere nella carità vicendevole con le sue varie sfaccettature.
Essa è l’unico carisma che rimane in eterno.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello