Omelia delle domeniche e feste Anno B
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
9 dicembre 2025 * S. Siro vescovo
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32 Obolo vedovaTesti liturgici: I Re 17,10-16; Sl 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
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Di fronte alla narrazione dell’episodio ascoltato nella prima lettura, viene spontaneo farci una domande e registrare una costatazione.
La prima: nel profeta Elia, non c’è stata una mancanza di umanità verso quella vedova, ridotta in fin di vita per mancanza di cibo?
La seconda: quanta umanità e dignità in quella vedova, che preferisce accorciare la propria vita per non mancare di carità verso il profeta!
E, nel contempo, un’altra costatazione: quanta fede in questa donna nel credere alla parola “non temere!”.
Il “non temere”, nella Bibbia, è sempre un invito rivolto a chi deve fare qualcosa di importante. In questo caso, per la donna l’importante è ospitare il profeta, non venir meno alla propria umanità, non essere prigioniera dei propri calcoli.
Se ha fatto questo, lo ha fatto perché si è fidata ciecamente di Dio, esperimentando la conseguenza che: “La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì”.
Se anche noi, in certe situazioni difficili, ci fidassimo di più del Signore, soprattutto quando umanamente non c’è più speranza! Il Signore può fare quello che a noi sembra impossibile, a patto che ci fidiamo di lui.
Chi si fida di Dio, non sbaglia mai!
Passiamo al Vangelo, che è interessantissimo per un aspetto. Per il fatto, cioè, che Gesù guarda e osserva quello che fanno gli altri.
È colpito da alcune scene, che lo fanno sorridere, come diremmo noi, per certi comportamenti proprio ridicoli.
In particolare, del modo di camminare degli scribi e dei farisei, del loro pavoneggiarsi, del loro far conto sulla stima e il rispetto degli altri, e soprattutto della loro ipocrisia.
Sono descritti come palloni gonfiati, che dentro hanno solo aria; non credono in niente e non hanno nessuna moralità.
L’allusione che Gesù del loro: “divorare le case delle vedove”, fa riferimento al fatto che spesso si presentavano come legali per difendere i loro diritti, ma con un secondo fine, quello di prendersi tutti i loro beni con le parcelle.
L’evangelista Marco coglie l’occasione dell’allusione alle vedove, narrando il comportamento di una di loro.
La scena si svolge nella stanza del tesoro, dove le persone si presentano e dichiarano pubblicamente la propria generosità e l’intenzione dell’offerta. Non poteva esserci di meglio per organizzare la fiera della vanità.
La vedova non può vantare nulla, si vergogna e si umilia davanti a tutti; silenziosamente getta due monetine. Non poteva dare di più: era quanto aveva per vivere.
Gesù coglie l’occasione e, chiamati i discepoli, detta la sua riflessione, criticando la falsa religione, quella basata sull’ostentazione e sull’apparenza.
Quella donna avrebbe potuto conservare per sé almeno una delle due monete e invece sceglie di dare tutto e di consegnare a Dio tutta la sua vita, attraverso questo atto di generosità,.
Il gesto di questa donna si accosta all’unisono con quello della vedova di Sarepta: anche quest’ultima fa un atto di fede in Dio e nella sua provvidenza.
Gesù ci dice che non importa se quello che abbiamo da offrire a Dio sia tanto o sia poco, quello che conta è che questo tutto, sia donato con fiducia e coraggio.
Nel salmo responsoriale abbiamo risposto con espressioni, come queste: “Il Signore rende giustizia agli oppressi… dà il pane agli affamati… egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi”.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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