Formazione liturgica
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
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Seconda Meditazione sulla liturgia - Spicello 04/04/2013

La volta scorsa abbiamo visto insieme come il termine stesso “liturgia” presenta una sorta di ambiguità, il termine liturgia abbiamo visto letteralmente etimologicamente significa “azione” del popolo ed era presente nell’antica Grecia per sottolineare iniziative che il popolo faceva a beneficio del bene comune.

Questo termine poi è stato utilizzato nella traduzione fatta ad Alessandria nei 70 del Vecchio Testamento per indicare in modo particolare l’azione cultuale che il sommo sacerdote faceva nel tempio.

Abbiamo visto che è un termine un po’ contraddittorio perché in realtà la liturgia vera e propria non è tanto azione nostra ma è azione di Cristo sommo sacerdote, è lui che ci coinvolge nel suo amore che ci chiama che ci rende partecipi, ci coinvolge e noi facciamo un’azione di culto grazie al fatto che Lui è il centro di questa azione.

Infatti il Compendio al catechismo, che ho citato l’altra volta, dice al n. 233, citando il Catechismo al 1135 -1137 “nella liturgia agisce Cristo tutto intero - Christus totus – capo e corpo quale sommo sacerdote e celebra con il suo corpo – con noi – che appunto la Chiesa terrena è anche la Chiesa celeste.”

Molto importante, non ce lo dimentichiamo.

Ecco questa dimensione propria della Chiesa celeste, come ricorderemo questa sera brevemente, ci vuole ricordare un aspetto che spesso sorvoliamo, l’altra volta abbiamo parlato appunto della centralità dell’azione di Cristo sommo sacerdote, oggi parliamo dell’azione nostra facendo un piccolo preambolo: c’è un antecedente di cui non parliamo mai che invece è decisivo per la nostra fede, non solo per comprendere il mistero pasquale ma anche per gustare appieno il mistero dell’incarnazione: noi siamo stati creati come creature liturgiche, cioè come coloro che sono chiamati nella creazione già dai primi capitoli del Genesi ad avere una profonda intimità con Dio. Anzi la prima coppia nasce come una coppia che aveva un ordine dentro di sé tra tutte le facoltà affettive, volitive, sotto il governo della ragione il quale era sotto il governo dello spirito tutto armonizzato per dare lode e gloria al Signore.

Tanto è vero che questa intimità è così forte che anche quando accade il peccato, nel cap. 3 del Genesi, vi ricordate, l’uomo dice: ho sentito i tuoi passi nel giardino, che è un modo, un aramaismo per dire che Dio lo percepivano, era presente. Quello che per noi è difficilissimo se non in alcuni fratelli e sorelle che hanno fatto un grande cammino di santità. Noi sperimentiamo magari anche in momenti particolari molto intensi della liturgia come stasera soltanto un assaggino piccolissimo, mentre la prima coppia, anche, nonostante, dopo il peccato, aveva una percezione così alta, così profonda della presenza di Dio che noi neanche immaginiamo, quindi noi nasciamo come creature capaci di dare culto a Dio e l’incarnazione del Verbo e soprattutto il mistero pasquale non vogliono fare altro che restituirci, migliorandola, questa capacità di intimità.

Migliorandola perchè soltanto il Figlio , come abbiamo detto già diverse volte, rivela il Padre e anche Adamo ed Eva - Sant’Ireneo parla di Adamo ed Eva come due bambini che erano profondamente innocenti, però non erano ancora adulti, però erano ripieni totalmente dell’intimità con Dio - appunto, anche Adamo ed Eva non avevano chiara la paternità di Dio come solo il Figlio la rivela. Ad ogni modo, noi, invece, siamo molto sbilanciati, sappiamo un sacco di cose su Dio, abbiamo ricevuto molta catechesi, forse probabilmente ne sappiamo più degli apostoli da un punto di vista di contenuti teologici, però in realtà siamo sbilanciati perché non abbiamo fatto quella esperienza di grazia così profonda che hanno fatto gli apostoli in quei tre anni di vita con Gesù che sono stati gomito a gomito con Lui, respirando con Lui, mangiando con Lui, stando con Lui ecco e quello che accade nella nostra vita spirituale, spesso è che siamo incapaci di rispettare questo clima di intimità, delicatezza, di questo sussurro nello spirito, che non è un intimismo, non è una mistificazione emotiva, è uno stupore, come ricordava poi oggi Papa Francesco alla messa a S. Marta.

La pace nasce dallo stupore, ci ricordava il santo padre questa mattina, lo stupore che poi è quello che avvolge tutto il mistero della pasqua, è lo stupore del Risorto. Manca questa capacità di entrare in questa logica dello stupore, per cui anche i nostri gesti, quando noi entriamo in chiesa siamo incapaci di vivere questo stupore, questa commozione, questa capacità di metterci veramente in ginocchio davanti al Signore, viviamo come se andassimo all’ipercoop, se andassimo in qualsiasi altro luogo, non ci rendiamo conto di quel dono grande che abbiamo di essere chiamati anche solo entrare in chiesa e vivendola con superficialità, questo poi purtroppo, che cosa succede che tutta questa superficialità ritmica da ritmo alla nostra vita, quindi anche nel nostro quotidiano ci dimentichiamo, nel lavoro, nelle difficoltà, ecco perché oggi il Papa ricordava che la pace nasce dallo stupore, perché quando c’è lo stupore poi c’è la confidenza e poi c’è la pace che è da chiedere sempre al Signore. Quindi l’incapacità di noi di stare davanti alle prove della vita che ci sono sempre, stare nella pace, nella pace non vuol dire di non provare emozioni, di non soffrire, no non vuol dire questo. Vuol dire che c’è un livello della mia coscienza così profondo che non viene toccato da tutto quello che accade in superficie, perché lì risiede la mia fiducia salda, inamovibile nel Signore Gesù che mi ama perché io sono degno di amore, di stima davanti al Signore; come nell’acqua succede che può esserci sopra il mare mosso ma sotto c’è profonda calma e questo nasce dallo stupore.

Allora è importante che noi piano piano attraverso una coscienza, attraverso anche una disciplina scopriamo e rivalutiamo sempre quello stupore importante nei luoghi sacri. Perché questo ci fa valutare il sacro che è anche la nostra vita.

E’ importante questo!

Vi leggo soltanto un breve brano di un teologo molto importante italo-tedesco che è stato il maestro di papa Benedetto J. Ratzinger, Romano Guardini, che in un libro molto bello che si intitola “Lo Spirito della liturgia e dei santi segni” parla del segno di croce. Ecco questa sera un breve accenno sul segno di croce. “Quando fai il segno di croce fallo bene, non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisca cosa debba significare. No il segno della croce giusto cioè lento ampio dalla fronte al petto, da una spalla all’altra, senti come esso ti abbraccia tutto, raccogliti dunque bene, raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra, allora tu lo senti, ti avvolge tutto, ti consacra, ti santifica, perché? Perché è il segno della totalità ed il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli santifica l’uomo nella sua totalità fin nelle ultime fibre del suo essere, perciò lo facciamo prima della preghiera affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine, concentri in Dio pensieri cuore e volere, dopo la preghiera affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato, nella tentazione perché ci irrobustisca, nel pericolo perché ci protegga, nell’atto di benedizione perché la pienezza della vita divina penetri nell’anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa. Pensa quanto spesso fai il segno di croce, il segno più santo che ci sia, fallo bene, lento, ampio, consapevole, allora esso abbraccia tutto il tuo essere, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, tutto ti viene irrobustito. Segnato, consacrato con la forza di Cristo nel nome di Dio uno e trino“.

Ecco vedete come un semplice gesto che a volte noi facciamo distrattamente in realtà è così pregno di significato.

Questo non significa che noi dobbiamo avere culto formale dei gesti, ma fare presente al nostro cuore tutta la pienezza di fede che essi contengono e nascondono. Perché da questi gesti poi si vede quanto veramente noi possiamo ritornare ad essere uomini e donne liturgici cioè che danno culto a Dio in Cristo sommo sacerdote. In ultimo il segno di croce non è soltanto un segno personale perché appunto abbiamo sentito dal compendio come ogni gesto liturgico, come ogni preghiera personale, è un gesto ecclesiale, quando io mi segno nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo trascino con me tutta la chiesa, sia quella terrena, sia i volti che conosco, gli occhi, i visi, ovviamente quelli che amiamo, la moglie, il marito, i figli, gli amici, i compagni di cammino, ma anche tutti i nemici, tutti quelli con cui non ho un rapporto che funziona, trascino tutti con me, in quel segno di croce e anche tutta la Chiesa celeste, tutti i santi che ci precedono nel cammino, Maria, Giuseppe, San Francesco, Santa Chiara e tutti i santi, il Beato Alberione. In ultimo quindi entrando in chiesa ricordiamoci sempre quale grazia il Signore ci fa nel poter accedere ad un luogo così santo.

Ricordiamoci sempre la figura che vi ho proposto l’altra volta - che è quella che ci propone la Sacra Scrittura - Mosè che davanti a quel mistero del roveto che non si consumava si toglie i calzari dai piedi perché quella è terra santa.

Così anche noi con un bel segno di croce e con un profondo inginocchiamento davanti al Santissimo se è presente o un inchino se non fosse presente il Santissimo perché è presente l’altare.

I gesti sono importanti.

La salvezza non sta nei gesti ma nel cuore e nella fede che noi mettiamo in quei gesti che ricordano a noi stessi che dobbiamo essere evangelizzati e poi dalla nostra fede altri fratelli e sorelle possano vedere quanto è bello amare Dio.

 

Paul Freeman

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