4 Domenica C Oggi si è compiuta
Testi liturgici: Ger 1,4-5.17-19; I Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
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“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto”,
dice il Signore a Geremia. Il vocabolo “conoscere” nella Bibbia significa “amare”.
A cosa ci fa pensare questa espressione?
Al fatto che essa non è rivolta solo a Geremia, ma vale per ognuno di noi e significa che il Signore ci ama da sempre, da tutta l’eternità.
Non sono forse parole consolanti e incoraggianti?

Ci vogliono proprio! Soprattutto quando siamo assaliti dalla tristezza, quando ci verrebbe da dire che pure Dio si è dimenticato di noi. No! Dio da sempre ha pensato a noi, ancor prima del nostro concepimento! Da sempre ci ha amato, rimane sempre fedele, non ci tradisce mai.

È un amore che ci chiama per qualcosa di bello, ma che nel contempo ci lascia liberi di rispondere o meno.

Purtroppo, non mancano quelli che non lo comprendono e non vi corrispondono. Non è facile, infatti, lasciarci guidare da Dio; la tentazione di voler essere autosufficienti è sempre dietro l’angolo, con la conseguenza poi che ci lascia delusi.

Si tratta, pertanto, di corrispondere all’amore infinito di Dio con altrettanto amore, anche se il nostro rimane pur sempre limitato.

Ebbene, il brano della seconda lettura ci ha presentato un aspetto di come vivere questo amore. Lo prendiamo in considerazione.

Allora come oggi, nelle comunità cristiane c’è chi vuol primeggiare.

Molti credono di aver ricevuto un dono da Dio non per metterlo a disposizione di tutti, ma vantarsene e ritenersi migliori degli altri.

Paolo si accorge che nella comunità di Corinto molti si fregiano dei doni ricevuti, tali che, invece di diventare motivo per l’arricchimento reciproco, diventano motivo di scontro con gli altri e di peccato nei confronti di Dio.

Paolo coglie l’occasione per sottolineare che se un credente avesse tutti i doni possibili e immaginabili, il dono più grande resterebbe sempre quello della carità, quello dell’amore vicendevole.

Se si possiede veramente la carità non c’è spazio per l’invidia, non c’è spazio per la rivalità, non c’è spazio per la superbia e per l’egoismo.

Solo se si possiede la carità si è legati veramente a Dio, appunto perché lui è la carità infinita che ci ama da sempre, per cui chi non ama sceglie di escludersi da lui.

  L’amore non è qualcosa di astratto ma è qualcosa di molto concreto, cosa che si traduce in atteggiamenti, ed è alla portata di tutti.

Non si deve neppure pensare che vivere l’amore significhi fare cose complesse o difficili. Non si tratta di fare cose per avere riconoscenza e battute di mano, cosa che farebbe solo aumentare l’amor proprio e la superbia.

Invece, amare significa avere pazienza e non adirarsi, non giudicare sempre in negativo e non fare maldicenze, essere benevoli e non condannare, sperare sempre nel ravvedimento, essere umili, sopportare con fede le avversità.

Allora, non c’è proprio bisogno di andare a cercare chissà quale opera da compiere, perché la vita di tutti i giorni è intrisa di tante situazioni in cui è proprio necessario mettere in pratica la carità.

Si tratta, allora, di valorizzare ogni istante della nostra vita: non importa quanto possa sembrare banale o inutile quello che facciamo, perché ogni situazione è utile per esercitarsi nell’amore concreto.

Paolo concludendo con forza afferma che, pur ammesso di avere tante cose buone, pur tuttavia: “Rimangono tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello