
Testi liturgici: Is 60, 1.6; Sl 72; Ef 3, 2-3.6-6; Mt 2, 1-12
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“Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”, così abbiamo ascoltato dalla lettera di Paolo.
In altre parole significa che Gesù è venuto a salvare non solo gli israeliti, come fosse un privilegio loro riservato, ma tutte le genti, di tutto il mondo, di tutti i tempi.
Per confermare questo, ecco l’episodio della venuta dei magi.
Per questo motivo, potremmo anche dire che l’epifania è il prolungamento del Natale.
Se a natale i pastori hanno rappresentato la gente di Israele, i magi di oggi rappresentano tutte le genti. Anche questo è ben sottolineato da Paolo: “Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.
Se riflettiamo bene, ci accorgiamo che l’Epifania è come il Natale, è imperniata sull’elemento simbolico della luce, cosa bene espressa all’inizio della prima lettura. In essa Isaia si rivolge a Gerusalemme, dicendo: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”.
Oggi queste parole sono rivolte dal Signore alla nuova Gerusalemme, che è la Chiesa, cioè a ciascuno di noi.
Ciò premesso, dobbiamo fare come i Magi, dobbiamo farci condurre dalla luce. Essa certamente brilla lungo la nostra vita, purtroppo però non ce ne accorgiamo e non ce ne rendiamo conto.
Tale luce, che dovrebbe splendere forte come quella del sole, è la nostra fede.
Cosa succede se il sole è coperto da dense ed oscure nubi?
In tal caso la luce, anche se non scompare come di notte, è però molto indebolita.
Questo per dire che se nella nostra vita c’è il peccato, c’è l’allontanamento da Dio, la nostra fede si indebolisce e con l’andare del tempo facilmente potrebbe sparire.
È vero che qualche volta potrebbe apparire l’oscurità non per colpa nostra, in quanto potrebbe essere una prova che il Signore permette, tanto da farci dire: “Signore, dove sei?”.
Questo – sempre simbolicamente - è capitato anche ai magi, tanto che ad un certo punto non vedono più la stella.
Ma cosa fanno in tal caso?
Non si sono arrendono ma vanno a chiedere notizie: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?”.
Purtroppo, è capitato loro di chiederlo ad Erode. Ho detto “purtroppo”. Sì, perché c’è una differenza ed un contrasto di vedute e di intenzioni fra loro.
I Magi, in quanto sono nella sincerità, continuano a cercarle e lo troveranno. Erode invece, che vive nella falsità ed è schiavo del potere, pur conoscendo le Scritture che parlano di lui, non lo cerca, per cui non lo trova; anzi, combina il disastro che conosciamo.
Quanti disastri anche nella nostra vita! Succede ogni volta in cui non ascoltiamo e non mettiamo in pratica quello che dice e ci chiede il Signore.
Da notare, infine, i doni simbolici che offrono: l’oro, l’incenso e la mirra.
L’oro simboleggia la regalità di Gesù Cristo, egli infatti è il Re dell’universo.
L’incenso simboleggia il sacerdozio di Gesù Cristo, egli infatti collega noi con il Padre e il Padre con noi.
La mirra, profetizza la passione e morte di Gesù.
Anche noi siamo chiamati a fare analoghi doni.
Come e in che modo possiamo farli?
Offriamo l’oro quando ascoltiamo la Parola di Gesù, cercando di fare la volontà del Padre celeste.
Offriamo l’incenso quando, attraverso la preghiera ed i sacramenti, ci colleghiamo al Padre ed accogliamo i suoi doni.
Offriamo la mirra ogni volta che accettiamo ed offriamo con amore le inevitabili sofferenze della vita.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello