Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
15 gennaio 2025 * S. Paolo eremita
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19 Domenica C Tenetevi prontiTesti liturgici: Sap 18,6-9; Sl 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48
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La prima lettura iniziava con il ricordo della Pasqua ebraica: “La notte della liberazione”; allorquando gli Israeliti furono liberati dalla schiavitù dell’Egitto.
Per essi, il celebrarla ogni anno, richiamava la fedeltà di Dio, sempre presente nella loro vita; e questo, per loro, era sempre un motivo di incoraggiamento nelle varie avverse vicende della vita.
Anche noi celebriamo la Pasqua, ma è quella nuova; questo avviene ogni domenica. In questo momento siamo qui riuniti proprio per celebrare la Pasqua cristiana.
Per noi, la Pasqua è fare memoria di una liberazione ben più grande di quella degli Ebrei. Facciamo memoria, infatti, della liberazione dal peccato, avvenuta per opera di Gesù Cristo.
Anche per noi, questo riunirci, è sempre motivo di incoraggiamento, nella certezza che il Signore non ci abbandona mai e ci aiuterà durante la settimana che si apre.
Se è vero, come è vero, che Dio non ci abbandona mai e fa la sua parte per noi, anche noi dobbiamo fare la nostra.
Come la facciamo?
La si fa con i nostri continui atti di fede.
Avere fede, in molte occasioni, significa compiere un atto di coraggio che ci assicura la potenza misericordiosa di Dio, la quale si manifesta in modi e momenti assolutamente impensabili.
Chi ha mai detto che avere fede significa ottenere sempre risposte assicuranti in ogni occasione e situazione della vita?
Fidarsi di Dio è sempre un gesto di coraggio; indica la capacità di osare sempre di fronte alle situazioni, spesso contrarie ad ogni logica umana.
Quando l’acqua giunge alla gola, quando ormai siamo certi di affogare, quando,cioè, ci sembra che non ci sia più nulla da sperare, è proprio quello il momento in cui si manifesta la presenza di Dio. Essa, in maniera impensabile, ci tira fuori dalle situazioni, anche disperate, nel modo come lui sa fare, nella maniera – come già detto - umanamente inspiegabile.
La seconda lettura, a sua volta, ci ha dato la definizione della fede: “La fede è fondamento di ciò che si spera, ed è prova di ciò che non si vede”.
In altre parole, la fede è un vedere qualcosa che non si è ancora realizzato, ma che si è certi con sicurezza che si realizzerà. Quindi la si vive già presente, come se già fosse avvenuta, ma per cui bisogna ancora attendere; cosa questa che, comunque, ci fa vivere nella pace e nella serenità.
A tal proposito ci è stato presentato Abramo, uno dei campioni nella fede.
Il Vangelo, da parte sua, ci indica un aspetto molto importante della fede vissuta, con queste precise parole iniziali: “Non temere, piccolo gregge”.
Sono rivolte a noi, perché spesso non ci piace il vocabolo “piccolo”.
Infatti, quante volte diciamo di essere di poca consistenza.
Ad esempio, siamo pochi a manifestare la fede in tutti gli ambienti, siamo pochi a partecipare alla Messa, siamo pochissimi nel partecipare agli eventuali iniziative ed incontri parrocchiali, e così via.
Per cui la tentazione è quella di adeguarsi alla maggioranza.
Invece, Gesù dice che i suoi veri discepoli sono sempre pochi, sono un “piccolo gregge”. Devono essere pochi, perché il compito del cristiano è quello di essere un fermento nella massa.
Ma “piccolo” non significa che si debba essere sprovveduti.
Significa, piuttosto, esserne consapevoli. Cristo si serve di pochi. Lo fa per dimostrare come il bene destinato ad espandersi non dipende dal numero e dalla bravura dei cristiani. Essi sono e rimangono solo suoi strumenti, di cui si serve per portare avanti il regno di Dio.
Dunque, non ci si deve sgomentare se, apparentemente, il messaggio cristiano si perde nell’indifferenza o nel disprezzo e non viene, quindi, accolto.
Dia sa bene come fare perché la nostra parola, il nostro messaggio e la nostra testimonianza, tocchino il cuore di tante persone portando luce e forza nella loro esistenza.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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