Testi liturgici: Zc 12,10-11-13,1; Sl 62; Gal 3,26.29; Lc 9,18-24
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Il brano di Zaccaria fa riferimento ad un momento della storia del popolo, il quale prende coscienza dell’ingiustizia compiuta verso uno che è descritto come “trafitto”.
Non sappiamo con esattezza a chi Zaccaria volesse alludere. Ma una cosa è certa, è la prefigurazione di un’altra figura, quella di Gesù, “trafitto” per causa dei nostri peccati.
Grazie al suo sacrificio, un torrente di grazia e di consolazione zampillerà non tanto su Gerusalemme, come dice il profeta, ma su tutti gli uomini, di tutti i tempi.
Se guardiamo la nostra vita, chi di noi non è in qualche maniera trafitto?
Tanti sono gli affanni, le prove, le sofferenze e le croci che ciascuno di noi sostiene durante la giornata.
Come superare la situazione?
Si tratta di volgere lo sguardo al Crocifisso. Dal suo costato aperto e dal suo cuore trafitto, fluisce un fiume di grazia che scende nel cuore di coloro che si aprono al suo amore.
Si tratta di andare a lui, di cercarlo con tutto il cuore, senza accontentarsi di quelle fonti d’acqua che il mondo ci propone, ma che alla fine ci lasciano più assetati e bisognosi di prima.
Proprio per questo abbiamo risposto con il salmo: “Ha sete di te, Signore, l’anima mia”.
Anche alcune espressioni del Vangelo fanno riferimento a questo.
Infatti abbiamo ascoltato, dalle parole stesse di Gesù, a quale tipo di trafittura egli sarebbe andato incontro: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso”.
Quale è il messaggio per noi, trasmesso da queste parole?
Dobbiamo comprendere che chiunque vuol seguire Gesù deve prendere posizione nei suoi confronti e deve dare una risposta chiara circa la sua identità.
Non si può seguire Gesù fondandosi su quello che gli altri dicono di lui; ma neppure di quello che portiamo dentro di noi, la presunta convinzione che cioè egli ci possa subito liberare da ogni angustia e sofferenza.
Quando Dio ci parla di dolore e morte, ci prende una stretta al cuore e la paura ci attanaglia. Ci vien da dire: “Perché Dio vuol farci soffrire?”.
In realtà, non comprendiamo che l’esperienza della croce è fondamentale per conoscere chi è veramente Dio. Egli non è un liberatore umano, né un condottiero; ma è colui che si è caricato sulle spalle tutti i nostri peccati, ridonandoci l’immagine divina che si era perduta con il peccato.
In altra pagina della Bibbia, e precisamente in una lettera di Paolo, è detto che noi dobbiamo supplire a quello che manca alla passione di Cristo.
Ecco perché non possiamo sprecare le nostre sofferenze con il continuo lamento, ma unirle a quelle di Cristo.
Ed ecco perché Gesù dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
Infatti, non possiamo illuderci che possa esistere una vita senza croci. Vuoi o non vuoi, le croci ci sono per tutti.
Per riuscire a portarle in serenità e pace, si tratta di accoglierle con amore, per il motivo già espresso: saperle unire a quella di Gesù.
Ovviamente, questo è possibile solo con l’aiuto della grazia di Dio.
Purtroppo, per chi è lontano da Dio e non confida in lui, la croce raddoppia di peso, diventa insopportabile, ci fa vivere da arrabbiati, ci fa giungere alla disperazione.
Ci aiuti il Signore a non entrare in questo tunnel che è senza luce e senza via d’uscita!
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello