Testi liturgici: At 15,1-2.22-29; Sl 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29Per il documento: clicca qui
Nell’ascolto della parola di oggi, in prima battuta, c’è stata questa espressione: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”.
È un momento cruciale per la Chiesa primitiva.
Inizialmente i suoi membri sono Ebrei convertiti, ma poi vi fanno l’ingresso anche i pagani.
Per un po’ di tempo i due gruppi convivono senza questioni, ma ad un certo punto nasce un problema.
Alcuni cristiani, provenienti dal gruppo dei farisei, ritengono che per la salvezza sia necessaria la circoncisione, secondo la legge di Mosè.
Per risolvere la questione viene convocato, primo nella storia della Chiesa, il Concilio, che si tiene a Gerusalemme.
Il risultato dell’assemblea conciliare è stato presentato con queste parole: “E’ parso bene allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie”. Sono poi indicate le cose necessarie per quel tempo.
È una indicazione che dobbiamo tenere sempre presente, anche oggi. Infatti, a Papa Francesco non sfuggono i problemi cruciali che attualmente tormentano la Chiesa.
Si rende conto che, a chi si accosta alla fede o vive già nella Chiesa, non va chiesto niente che non sia strettamente indispensabile alla fede stessa, e questo per non chiudere le porte che Dio apre.
Certamente non è facile dare una risposta esauriente e chiara, e che nel contempo sia rispettosa della legge di Dio, in un mondo strapieno di confusione, con tanto polverone che alzano i mezzi di comunicazione, tale da aumentare la confusione stessa.
Ovviamente, da parte del magistero della Chiesa ci vuole molta riflessione e prudenza, ma anche da parte dei fedeli ci vuole tanta rettitudine e spirito di sacrificio per cogliere nel
giusto senso le indicazioni della Chiesa stessa e metterle in pratica con spirito evangelico e fede genuina.
Passiamo al Vangelo. Vi prendiamo una espressione: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Il “prenderemo dimora” significa che in noi abita la Santissima Trinità.
Questo solo se amiamo veramente, cioè se ascoltiamo la parola di Dio e la mettiamo in pratica. In altre parole, se viviamo veramente di fede.
Il rischio è che noi equipariamo la fede al compimento di qualche pratica religiosa o di culto, quali ad esempio andare a volte in chiesa in occasione di certe circostanze, dare i sacramenti ai figli, fare qualche pellegrinaggio, accogliere la benedizione della casa, esporre immagini religiose e cose simili.
Queste cose non sono da scartarsi, ma valgono pienamente se provengono da fede vera. Il più delle volte, è proprio la fede che manca.
Se è così, le pratiche che compiamo sono paragonabili alla superstizione, sia pure una superstizione religiosa.
Per capire meglio, porto una similitudine.
Nel soffitto di casa ho un trave gravemente tarlato. Per di più gli escrementi cadono sul pavimento. Siccome a me piace l’ordine e la pulizia, provvedo a dare una bella mano di vernice al trave, tanto da sembrare nuovo. Dopo di che, vivo tranquillo.
Posso vivere tranquillo veramente?
Quante situazioni analoghe nella nostra vita di fede!
Verniciamo la coscienza con atti religiosi, come abbiamo descritto pocanzi, ma in realtà non la rinnoviamo dal di dentro con una vera vita di fede.
In tal caso siamo vera dimora della Trinità?
Viviamo veramente quella pace che ci porta Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”.
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello