24 Domenica C Pecorella smarritaTesti liturgici: Es 32,7-11.13-14; Sl 50; I Tim 1,12-17; Lc 15,1-32
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E’ chiarissima una cosa! In questa domenica domina il tema della misericordia di Dio.
Le tre parabole evangeliche ascoltate, da questo punto di vista, sono quanto mai esplicite. Però, vanno prese nel loro insieme. La terza è comprensibile solo a partire dalle altre due.
La prima, quella della pecorella smarrita, ha dell’insostenibile.
A ragion di logica, quale pastore lascerebbe 99 pecore, da sole, per cercarne una? Sarebbe uno sciocco. Così facendo correrebbe il rischio di perderle tutte. Sarebbe fuori luogo e anche ridicola la festa con gli amici. Lo avrebbero certamente deriso come ingenuo e incosciente.
Ma proprio qui sta il punto che Gesù vuol far capire: la logica di Dio è diversa dalla nostra; non segue né il buon senso, né la razionalità, né i diritti, né le convenienze, come siamo soliti seguire noi.
La parabola della moneta è parallela alla prima, ma in realtà è anche molto diversa: la ricerca non è da ingenui, ma è da saggi, chiunque lo farebbe. Pertanto, la successiva gioia condivisa, è del tutto plausibile.
In ambedue i casi, c’è una cosa importante da tener presente: i protagonisti non sono soddisfatti del molto che resta loro, ma desiderano non perdere nulla.
Ed anche questo è un punto che Gesù vuol far capire.
Dio vuole che nessuno si perda, ma che tutti siano salvi.
Ce ne è abbastanza per capire dove arriva la misericordia di Dio.
A questo punto, però, potrebbe sorgere una domanda molto importante: se Dio salva tutti, non c’è più bisogno del nostro impegno! Dov’è, allora, la sua giustizia e la dovuta ricompensa a chi si è ben comportato?
La risposta ci è data dalla terza parabola.
Essa evidenzia il comportamento di Dio che si rivela nel padre buono ed evidenzia il nostro comportamento che si manifesta nei due figli.
Da notare una cosa molto importante: la perdita della pecora e della moneta è avvenuta senza scelta e colpa del soggetto; il comportamento dei due figli, per il dono della libertà, è avvenuto per loro deliberata scelta.
Il padre, a differenza del pastore, non è corso dietro il figlio minore: ha aspettato che si rendesse conto dello sbaglio, che se ne pentisse, che tornasse a casa. Dopo di che si è potuta realizzare la sua misericordia, mai venuta meno dal suo cuore, ma resa impraticabile per la non corrispondenza.
Il figlio maggiore non si è mai allontanato da casa. Però, con lui il padre ha dovuto esercitare molta pazienza, perché si rendesse conto che pure lui stava sbagliando. La parabola, fino a quel momento, dice che non l’ha capito, tanto che non voleva neppure entrare a far festa.
Quindi stava in casa, ma non era di casa, non si sentiva in famiglia, non amava né il padre né il fratello.
Cosa dice a noi?
Dice che, se siamo sinceramente pentiti dei peccati, come lo è stato il figlio minore, siamo sempre perdonati.
Ma attenzione a non essere come il figlio maggiore.
Dove sta il problema?
Il vero problema non è nel modo di fare di Dio. E’ in coloro che si credono familiari di Dio, perché sono stati sempre nella sua casa, perché religiosi e praticanti, perché ritengono di conoscerlo, ma in realtà non hanno capito nulla di lui. Hanno, sì, rispettato delle regole, ma non erano le regole della casa del Padre; hanno abitato una casa, ma in realtà non era la casa di Dio, frequentavano con i familiari di Dio, ma in realtà non li amavano tutti.
Se ci vien da dire che Dio si comporta male, dobbiamo capire che siamo noi a comportarci male nei suoi confronti perché non ci siamo mai relazionati bene con lui né con i fratelli e sorelle.
Sac. Cesare Ferri, Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello