Testi liturgici: At 13, 14.43-52; Ap 7,14-17; Gv 10,27-30
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L’immagine del pastore che guida il suo gregge è una delle metafore più significative che si leggono nel vangelo.
Oggi a noi potrebbe non dire molto, ma per gli israeliti, che esercitavano prevalentemente il mestiere di pastori, era molto comprensibile ed eloquente.
C’è da sottolineare una espressione: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.
Cosa vuol dire a noi, oggi?
Tale espressione mette in evidenza il rapporto di comunione che si instaura tra Gesù e noi, se siamo veri suoi discepoli.
Da essa emergono tre idee.
La prima ci indica quello che noi dobbiamo essere nei riguardi di Gesù.
Davanti a lui ci qualifichiamo se accogliamo in noi le sue parole ed i suoi insegnamenti. Solo così diveniamo suoi discepoli e suoi seguaci. Proprio per tale fatto, dobbiamo stare bene attenti a dove lui si dirige, fidandoci di lui in quanto vera guida, proprio per non disorientaci e disperderci.
La seconda ci dice cosa Gesù offre a noi. Egli dona una pienezza di vita tale che non può essere distrutta dal male e dalla morte: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.
Questa “mano” sta a indicare la sua potenza protettrice che ci dà sicurezza e difesa dagli attacchi nefasti di qualsiasi realtà negativa.
La cosa è ripetuta e ben sottolineata anche dall’Apocalisse: “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.
La terza ci invita ad elevare lo sguardo al rapporto che intercorre tra Gesù ed il suo Padre celeste. Proprio in forza di questa intima e perfetta comunione tra il Padre e il Figlio, viene effettuata la salvezza delle pecore, protette non solo da Gesù, ma dalla forza divina che è onnipotente e per cui, di fronte ad essa, nessun potere avverso può competere.
Conoscendo questo, di cosa dobbiamo aver paura nella nostra vita? Se il Signore è con noi, chi sarà contro di noi?
Ovviamente, questo non significa che gli altri ci batteranno le mani, certamente non saremo graditi a tutti, ma con il Signore raccoglieremo la vittoria finale.
Del resto, è anche quello evidenziato dalla prima lettura, allorquando è narrato come Paolo e Barnaba erano seguiti da molti.
Ma ecco la conseguenza: “Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo”.
Pertanto, ognuno di noi può essere oggetto di gelosia, cosa che si potrebbe manifestare nel suo duplice aspetto.
Il primo, quello di essere noi oggetto di gelosia, cosa questa che ci farebbe soffrire, ma che non ci fa temere nulla perché sappiamo e crediamo che il Signore è con noi.
Il secondo, quello di essere noi gelosi degli altri. È un sentimento che, purtroppo, serpeggia in tanti cristiani e che crea le peggiori situazioni di rivalità, invidie e competizioni.
In tal caso, la grazia di Dio è paralizzata. Chi volutamente coltiva tale gelosia, non può esperimentare gli effetti benefici della presenza del Signore.
Con questi cristiani, anche se frequentano la chiesa e compiono non poche pratiche religiose, il Signore non può compiere meraviglie, né a loro vantaggio e neppure a vantaggio di altri, anche se per essi compiono azioni apostoliche.
Sac. Cesare Ferri Rettore Santuario San Giuseppe in Spicello