Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
15 gennaio 2025 * S. Paolo eremita
itenfrdeptrues

Pesca miracolosa
Testi liturgici: At 5,27-32.40-41; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Per il documento: clicca qui
Credo bene sottolineare due espressioni descritte nel brano evangelico.
La prima, è quella relativa a quanto vedono i discepoli: “Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con dei pesci sopra, e del pane”.
La seconda, è quella relativa a quanto chiede Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”.
A prima vista sembrano notizie di cronaca, ma in realtà sono da considerarsi come fatti simbolici, tali che sottintendono e mettono in evidenza una grande verità: Il fuoco, i pesci e il pane rappresentano Gesù. È lui che quale pesce, cotto dal fuoco della sua morte, si fa cibo per la vita degli uomini.

Questo, però, non potrebbe avvenire se teniamo per noi il nostro pesce, cioè la nostra vita; in altre parole se le nostre azioni non sono consegnate a Gesù, divenendo una continua lode a lui, come abbiamo ascoltato dall’Apocalisse: “L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”.

A questo punto ci domandiamo: come può avvenire questo?

Gesù cerca di farlo capire attraverso la successiva domanda che rivolge a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”.

È l’inizio dell’esame di Pietro sull’argomento dell’amore, nel quale dà l’impressione di essere piuttosto imbarazzato, proprio come quando uno studente è interrogato, ma non si trova troppo preparato a superare l’esame.

Per due volte Gesù domanda a Pietro se lo ama; Pietro gli risponde di sì, ma su una linea diversa: non dice di amarlo come Gesù chiede, ma solo di volergli bene.

C’è una differenza tra i due verbi?

L’amore chiesto da Gesù è quello della carità che corrisponde al massimo grado dell’amore; il voler bene, invece, si trova ad un livello più basso.

L’amore di carità è quello oblativo, cioè quello disposto a donare se stesso per la persona che si ama, a costo di qualsiasi sacrificio, come del resto ha fatto Gesù per tutti noi.

Pietro, rispondendo, non mostra di essere giunto a tale grado di amore; pur tuttavia, gli dice di avere un amore di amicizia profonda, dentro un rapporto di fiduciosa intimità: “Tu sai che ti voglio bene”.

Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario: Gesù si abbassa, lo raggiunge nel suo limite, adotta il verbo stesso di Pietro: “Simone, mi vuoi bene, sei mio amico?”.

In altre parole, è come se avesse detto di dargli almeno l’affetto, se l’amore gli fosse sembrato troppo. A Gesù è bastato questo; per lui, infatti, anche il desiderio di amore perfetto, è già amore che salva.

Come vale anche per noi!

Ci accorgiamo che a volte amiamo malamente e che il più delle volte non siamo capaci di raggiungere il vero amore, quello oblativo, quello del dono gratuito, senza cercare e aspettarci ricompensa.

Pur tuttavia rimane il nostro desiderio ed il nostro impegno per arrivarci: ce la mettiamo tutta.

Questo è già sufficiente. Il nostro umile atteggiamento, infatti, permette al Signore di potersi avvicinare a noi, e così meglio operare con la sua grazia a nostro favore.

Ci accorgeremo che di mano in mano stiamo crescendo nel maturarci per vivere il vero amore.

Questo non solo vale nel rapporto con Dio ma, come segno di prova concreta, vale nel rapporto fra di noi: non si cerca l’altro per il proprio vantaggio, ma soprattutto per far contento lui.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

                                                                                                                             

facebook

"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

Visite agli articoli
3317371

Abbiamo 40 visitatori e nessun utente online