Il Verbo si fece carneTesti liturgici: Sir 24.1-4.12-16; Sl 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
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Per noi, lodare se stessi, è considerato un atto di orgoglio e, diciamo pure, di presunzione, oltre che di insipienza: chi loda se stesso non è né intelligente né sapiente.
Invece, sembrerebbe che la Parola di Dio di oggi ci insegni il contrario!
Come mai, all’inizio della prima lettura, il Signore parlando di se stesso usa l’espressione: “La Sapienza fa il proprio elogio?”.
Verrebbe da dire che la Sapienza fa un atto di insipienza!
Si tratta di inquadrare e di capire bene: quello che fa Dio non è orgoglio ma atto di umiltà.
La Sapienza
, così chiamata nel Siracide, corrisponde al Verbo, così chiamato da Giovanni, nel Vangelo. Le due espressioni, che si riferiscono allo stesso soggetto, sono presentate e personificate in maniera diversa.
La Sapienza
non è altro che il pensiero di Dio. Egli lo esprime attraverso la Parola, detta anche Verbo; con tale parola egli manifesta sempre il suo amore per gli uomini.
Ed ecco i passaggi, in crescita.
Secondo i testi biblici del Vecchio Testamento, vi è un legame stretto tra la personificazione della sapienza e il popolo di Israele; come pure, nel Nuovo Testamento, vi è un legame stretto tra il Verbo incarnato, che è Gesù Cristo, e il popolo cristiano, che siamo noi.
Nel primo caso leggiamo: “Il creatore dell’universo mi disse: ‘Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti’”.
In altre parole: Dio aveva donato al suo popolo la sapienza attraverso la sua Legge. Essa rappresentava davvero un dono dell’Altissimo; rendeva diverso tale popolo e, per certi versi privilegiato, rispetto a tutti gli altri popoli.
Ma con la venuta del Figlio, vera Sapienza e Verbo incarnato, tale predilezione non è più riservata a un solo popolo, ma a tutti gli uomini di buona volontà, tra i quali - ripeto - siamo anche noi.
Ecco il gesto di umiltà di Dio! Scende, si abbassa, diventa uno di noi!
È quanto abbiamo cantato nel salmo responsoriale: “Il Verbo si è fatto carne ed ha posto la sua dimora in mezzo a noi”.
L’importante, da parte nostra, è accoglierlo.
Purtroppo, potrebbe succedere quanto descritto dal Vangelo: “Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”.
Lo potremmo riscontrare in ciascuno di noi, sia a livello personale che a livello sociale. Questo rifiuto avviene quando agiamo di testa nostra, o solo per nostro profitto, senza confrontarci col pensiero di Dio.
In tali casi l’insipienza tocca veramente i massimi livelli, con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Potremmo ben dire: siamo un popolo di insipienti!
Dovremmo fare nostra la preghiera di Paolo, ascoltata nella seconda lettura: “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”.
Cosa produce in noi questa accoglienza?
Abbiamo pure ascoltato le espressioni: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio… Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”.
Cosa, allora, vogliamo di più?
Sac. Cesare Ferri, rettore Santuario San Giuseppe in Spicello