Esercizi Spirituali 2016.
Rilessione dettata a famiglie dal rettore Sac. Cesare Ferri nel corso svolto a Mecerata nei giorni 9-10 settembre 2016
Seconda riflessione: Per il documento: clicca qui
SPERIMENTARE la PIETA’ di DIO per DONARLA al FRATELLO
La parabola del servo spietato
Introduzione e premessa
Ci colleghiamo alla prima meditazione. Se il Signore ci cerca, domandandoci dove siamo, è per fare pace con noi e così essere vicendevolmente riconciliati.
La conseguenza di questo, poi, è il poter far pace con noi stessi, con i fratelli, con la natura. In questa dinamica di riconciliazione, al primo posto c’è il perdono vicendevole delle offese.
Gesù, che muore per i nostri peccati, ci è di esempio. Con il peccato, infatti, siamo diventati suoi nemici, eppure per noi dona se stesso.
Dalla croce chiederà al Padre: “Perdona loro perché non sanno quel che fanno”. Dopo la risurrezione, apparendo agli apostoli, per prima cosa dirà loro di perdonare i peccati.
Ascoltiamo il relativo brano evangelico (Mt 18, 21-35).
Pietro, rispondendo che sarebbe stato capace di perdonare sino a sette volte (sinonimo di totalità), dentro di se pensava di fare una cosa eccezionale, grandiosa ed eroica.
Gesù, replicando con l’espressione del “settanta volte sette”, insegna che per il perdono non ci sono limiti.
Il perdono è un atto difficile ma necessario.
Perché si deve perdonare?
Perché non è sufficiente fermarsi al non fare vendetta?
Il perdono non è forse un atto di rinuncia alla giustizia?
Azzerando tutto, non significa giustificare il male?
Ma il perdono cambia veramente qualcosa?
Diciamo subito che sono tutte domande legittime, ma non giustificative.
Diciamo pure che il perdono non è qualcosa di semplice e di immediato, e neppure di facile spiegazione.
Non è una specie di bacchetta magica, capace di annullare il male e di riportare tutto come prima, come a volte si dice: “mettiamoci una pietra sopra”.
Si tratta di un processo lento, che richiede tempo e fatica; soprattutto è la capacità di accogliere i propri sentimenti e di aprirsi ad un mondo in cui non tutto è chiaro ed evidente, come potremmo supporre.
Il perdono, se inteso rettamente, costituisce una delle armi più potenti di cui l’uomo dispone per fronteggiare il male e le sue conseguenze.
Allora, il perdono, più che essere spiegato, va sperimentato.
Comunque, per meglio comprendere in che cosa consista, è utile conoscere quello che il perdono non è.
Su questo punto si tratta di dissipare alcuni possibili pregiudizi che elenchiamo di seguito, cercando nel contempo di darne risposta.
Cosa non è il perdono
1. Qualcuno dice che il perdono è contrario alla giustizia.
In realtà, perdono e giustizia sono modalità differenti. Il perdono è un atto interiore, la giustizia è un atto esteriore e interpersonale.
Il perdono riguarda i sentimenti, le emozioni e le valutazioni interiori; la giustizia l’aspetto giuridico e istituzionale.
In forza di queste distinzioni, ne segue che è possibile ottenere giustizia senza perdono, e dare perdono senza ottenere giustizia.
2. Qualcuno dice di non voler incontrare l’offensore.
Dietro questa espressione vi è la tendenza, molto diffusa, a confondere il perdono con la riconciliazione.
La riconciliazione riguarda l’ambito esteriore e, quindi, il rapporto interpersonale tra offensore e offeso, il perdono invece è un fatto strettamente personale.
È vero che il riallacciare i rapporti con l’offensore sarebbe l’ideale, ma non è sempre possibile, per lo meno subito.
Ci si augura che sia un gesto successivo, il quale potrà completare il processo del perdono, ma non coincide con esso; sono due cose diverse.
Anzi, senza un lavoro previo sui propri sentimenti, ed in particolare sulla rabbia, c’è il rischio di una riconciliazione forzata, superficiale, che, a sua volta, porterebbe ad inasprire ulteriormente il rapporto, allontanando le persone, piuttosto che avvicinarle.
In secondo luogo, non è detto che il perdono venga sempre accolto dall’offensore.
Spesso un tale atto viene rifiutato, sia perché l’altra parte non si riconosce nel ruolo di “offensore”, sia perché può scorgervi una sottile forma di vendetta nei propri confronti.
Come, d’altro lato, la parte lesa potrebbe respingere un atto eclatante di riconciliazione, perché teme che un tale gesto possa essere interpretato come una specie di approvazione del comportamento tenuto dal colpevole, il quale potrebbe sentirsi autorizzato a ripeterlo nuovamente.
Il altri casi ancora, la riconciliazione non è materialmente possibile perché la persona non è più presente (lontana fisicamente o deceduta), o per il concreto timore che la ricostituita vicinanza possa riattivare vissuti troppo forti per l’offeso, specie se si sono verificati episodi di violenza, di minacce, di forte contrasto; la conseguenza sarebbe che si potrebbero aprire nuove ferite, esasperando e aggrovigliando ancora di più la situazione.
Però, ciò non significa che il perdono non possa e non debba anche tradursi in un tentativo di riconciliazione.
In ogni caso, questo potrebbe avvenire in un secondo momento nel quale si esige, come primo passo, una più o meno esplicita richiesta di perdono da parte dell’offensore.
Pertanto la richiesta, proprio per essere ulteriormente credibile, esigerebbe che siano stati messi in atto gesti concreti per riparare il male compiuto.
3. Qualcuno dice di non riuscire a dimenticare.
Perdono e dimenticanza sono atteggiamenti completamente diversi.
Il primo è un atto volontario, il secondo non è volontario.
La dimenticanza, a differenza della memoria, non è frutto di una decisione, per cui non ha rilievo dal punto di vista del perdono. Se uno avesse veramente dimenticato l’accaduto, non avrebbe più nulla da perdonare.
Il perdono, invece, nasce dalla costatazione di un qualcosa che fa soffrire perché ritenuto ingiusto e, nel contempo, dalla ricerca di una modalità diversa per affrontare la situazione.
Si tratta, pertanto, di non coltivare la memoria.
In altre parole, si tratta di non coltivare gli atteggiamenti che rendono più difficile il perdono: il rimuginare il male ricevuto, il rancore, l’odio, il desiderio di vendetta; questi sentimenti vanno sostituiti con altri atteggiamenti più positivi, ad iniziare dalla preghiera a favore dell’offensore.
4. Qualcuno dice che il perdono è una forma di debolezza.
In realtà, esso è esattamente il contrario.
Riesce a perdonare solo chi è interiormente forte, chi ha sempre coltivato atti di bontà, di benevolenza, di comprensione.
In altre parole, riesce a perdonare più facilmente chi vive una grande libertà interiore, chi non è soggetto agli stimoli di “botta e risposta”, come è facile riscontrare nei bambini; chi è fondamentalmente retto e sincero.
5. Qualcuno dice che l’offensore deve soffrire per quello che ha fatto.
C’è chi pensa che rifiutare il perdono sia un modo per punire l’altro, quindi una specie di vendetta.
In realtà, è esattamente il contrario; in tal modo si punisce solo se stessi, torturandosi e impedendo a se stessi di vivere serenamente.
Rievocando il male ricevuto, ci si avvelena sempre di più.
Anche la scienza medica lo conferma; dice in proposito che “chi riesce a perdonare è meno esposto al rischio di sviluppare sintomi depressivi, si confronta con ridotti livelli di stress, ha in media una pressione arteriosa più bassa”.
In cosa consiste il perdono
A questo punto possiamo dire qualcosa sul perdono, visto in termini positivi.
Il perdono comincia con un lavoro sul proprio vissuto interiore.
Si tratta di modificare i sentimenti negativi di ostilità e di propensione ad una eventuale vendetta, sostituendoli con atteggiamenti di comprensione, di compassione e di amore vero, quello che vuole il bene dell’altro.
Non si tratta, nel caso, di giustificare o ritenere lecito quanto è accaduto; e nemmeno di sminuirlo, ma di conoscere e comprendere la prospettiva dell’altro, la sua storia personale, i suoi sentimenti e i suoi vissuti interiori.
Con questo processo si giunge a identificare le motivazioni che stanno alla base di quell’azione, specie se si tratta di qualcuno con cui si viveva in amicizia o in una relazione affettivamente intima.
Pertanto, si tratta di non giudicare, ma di rendersi conto della situazione personale, familiare e sociale della persona che ha offeso; di comprendere la dinamica del suo comportamento.
Questo gesto e dinamica di comprensione, è già una modalità di perdono.
Da tener presente, inoltre, che il perdono è un amore gratuito.
Non garantisce, pertanto, che l’atteggiamento dell’offensore possa cambiare.
Anche se il perdono è una forza potente per modificare la situazione, esso rimane a fondo perduto, sia per chi lo offre, sia per chi è chiamato a riceverlo.
Se è vero che perdonare non significa smettere di provare sentimenti negativi verso l’offensore, è anche vero che il gesto facilita l’attivazione di atteggiamenti di benevolenza e di pacificazione nei suoi confronti.
Dal punto di vista esistenziale, la decisione di perdonare conduce il soggetto a vivere con più forza la propria vita, sperimentando un senso di liberazione, al contrario del perdono negato, in cui la persona rimane prigioniera del risentimento, come è stato scritto da un autore: “Sono proprio la serenità psicologica ed emozionale, il proprio stato di salute fisica che possono fare maggiormente le spese della nostra incapacità di perdonare. Vivere stabilmente dentro di sé sentimenti intensi di ira, di rivendicazioni e di ostilità non potrà non avere che un impatto negativo sulla propria salute”.
Quanto sin qui detto è piuttosto limitato su un piano umano.
Se ci eleviamo anche sul piano evangelico e spirituale, ci basti l’espressione di Gesù sulla croce, citata nell’introduzione: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
L’espressione “se non perdonerete di cuore”, potrebbe suscitare perplessità e incapacità a riuscirci. Tutto sta a comprenderne il significato.
Riporto quello che dice in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica: “È lì infatti, nella profondità del cuore, che tutto si lega e si scioglie. Non è in nostro potere non sentire più e dimenticare l’offesa, ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l’offesa in intercessione”.
Di fatto, l’intercessione non è altro che la nostra preghiera a favore dell’offensore.